Tutto quello che succede è inevitabile.
Questo è l' unico modo per sopportare la vita.
A tutti tocca di essere vittima, a tutti di essere carnefice. E' un gioco crudele, ma non possiamo sottrarci.
Non esistono sentimenti rigidi. Il sentimento è flessuoso. Si piega, muta. Continua, si trasfigura. Quanto è duro scorrere.
" E' così triste vivere quando si è infelici , non è così , Fernandinho ? Non vale la pena vivere . "
Vettriano
domenica 9 dicembre 2012
mercoledì 14 novembre 2012
.
Sono giorni che cerco di buttare giù due righe per liberarmi dal non-peso che sento nello stomaco. Non ce la faccio. Non ce la faccio. Non voglio essere coraggiosa, non voglio essere paziente, non voglio sentirmi dire dalla gente 'oh quanto sei brava a sopportare, come ti stimo', non voglio usare l'autoironia come strumento di forza e non voglio aspettare. Non me ne frega niente di quanto faccia bene essere dolci e remissivi, io non ci voglio stare, io voglio soffrire, si, io voglio soffrire senza consolazione e senza sconti. Mi sembra patetico cercare conforto negli altri, condividere i miei dolori, riderci sopra e cose del genere. Io ho diritto alla mia vita come tutti gli altri. E se agli altri fa bene sacrificarne metà per poi, forse, goderne in seguito, ebbene a me fa male, malissimo. Non ho intenzione di smettere, sia ben chiaro. Le cose vanno così perchè l'ho scelto e lo sceglierei, in fondo una delle croci mi sarebbe spettata comunque, ora si tratta solo di saperla portare con stile.
Oggi ennesima giornata di stress costante e di andirivieni fisciano-nocera-lavoro-letto-studio. Mi sento così stanca e così assonnata come mai in vita mia. Vorrei liberarmi dal mio corpo e andarmene fluttuando in giro per il mondo sotto la forma di un respiro, di bocca in bocca. Lasciare questa carcassa indolente e indecente sulla sedia della stanza e non doverla rivedere più. Non dovermi più guardare allo specchio nel tentativo di addolcire i tratti del viso, non dovermi più sforzare inutilmente per snellire delle cosce che resteranno così nei secoli dei secoli, e così via.
La smetterei di occuparmi di cose volgari, di soldi, di merci, di voci inconsistenti, di obblighi. Non posso, non posso. E così mi perdo, mi spezzetto, mi lascio indietro, mi dimentico in ogni luogo e in ogni luogo sono sempre presente, ecco perchè mi sembra di esserci già stata, e si perde sempre la magia della prima volta. C'è qualcosa che mi sta uccidendo dall' interno, sento la carne che si lacera, uno svuotarsi progressivo di me da me. La verità è che voglio dormire, voglio dormire per ore e ore e ancora svegliarmi e restare a letto per riaddormentarmi, e ancora dormire, dormire, dormire.
Oggi ennesima giornata di stress costante e di andirivieni fisciano-nocera-lavoro-letto-studio. Mi sento così stanca e così assonnata come mai in vita mia. Vorrei liberarmi dal mio corpo e andarmene fluttuando in giro per il mondo sotto la forma di un respiro, di bocca in bocca. Lasciare questa carcassa indolente e indecente sulla sedia della stanza e non doverla rivedere più. Non dovermi più guardare allo specchio nel tentativo di addolcire i tratti del viso, non dovermi più sforzare inutilmente per snellire delle cosce che resteranno così nei secoli dei secoli, e così via.
La smetterei di occuparmi di cose volgari, di soldi, di merci, di voci inconsistenti, di obblighi. Non posso, non posso. E così mi perdo, mi spezzetto, mi lascio indietro, mi dimentico in ogni luogo e in ogni luogo sono sempre presente, ecco perchè mi sembra di esserci già stata, e si perde sempre la magia della prima volta. C'è qualcosa che mi sta uccidendo dall' interno, sento la carne che si lacera, uno svuotarsi progressivo di me da me. La verità è che voglio dormire, voglio dormire per ore e ore e ancora svegliarmi e restare a letto per riaddormentarmi, e ancora dormire, dormire, dormire.
lunedì 22 ottobre 2012
I modi di dire.
Dunque la tensione, l' attesa, il mal di pancia e il mal di stomaco.
Dunque le notti insonni, i desideri repressi fino al loro dissolvimento, i progetti presi a calci.
E poi, le parole.
Perché in fondo, il mio problema è sempre lo stesso: ascolto quello che mi si dice, e ci credo, nelle parole. Ci credo come se fossero vere e come se volessero dire proprio quello che dicono. Ma non è così. Non è mai così.
E sarà questo per cui morirò. Sarà per la mia ostinazione cieca a voler dar forma alle parole. Io ci riesco, perché il resto del mondo non dovrebbe riuscirci?
'E' solo un modo di dire.'
Cos'è un 'modo'?
Una regola del dire, un sistema, un' usanza della parola.
Un codice che prevede una certa formula per esprimere un pensiero standard.
E' forse per questo che non dovrebbe essere reale? Per il fatto che è solo una formula codificata? Ma non è forse tutto il linguaggio ad essere una formula, un modo, non è la parola stessa, nella sua astratta singolarità, ad essere un 'modo di dire'?
E' forse per questo che tutti abusano di queste maledette parole? Per il fatto che, modo o meno di dire, non è necessario che segua un' azione al loro pronunciarsi? Non ci credono, le persone, nelle parole. Riempiono gli spazi vuoti della loro vita con sequenze casuali di lettere che prendono in giro la loro stessa esistenza su questo pianeta, dal momento che tutto è vano a dirlo, figuriamoci a farlo.
Io sono così stanca. Così stanca di queso abisso profondo che c'è tra il dire e il fare. Ho un ago piegato dal tempo che cerca di ricucire questa distanza, ma non ci riesce mai.
E' questa l' identità che cerco, questa la mia verità. Questo il senso.
Il soggetto e l' oggetto, parola e realtà. Non come due cose distinte che poi si uniscono, o si completano, o si succedono: no. Come la stessa cosa. La parola come realtà poetica. La realtà come silenzio dell' azione.
Ho la Nausea, quella con la N maiuscola.
Dunque le notti insonni, i desideri repressi fino al loro dissolvimento, i progetti presi a calci.
E poi, le parole.
Perché in fondo, il mio problema è sempre lo stesso: ascolto quello che mi si dice, e ci credo, nelle parole. Ci credo come se fossero vere e come se volessero dire proprio quello che dicono. Ma non è così. Non è mai così.
E sarà questo per cui morirò. Sarà per la mia ostinazione cieca a voler dar forma alle parole. Io ci riesco, perché il resto del mondo non dovrebbe riuscirci?
'E' solo un modo di dire.'
Cos'è un 'modo'?
Una regola del dire, un sistema, un' usanza della parola.
Un codice che prevede una certa formula per esprimere un pensiero standard.
E' forse per questo che non dovrebbe essere reale? Per il fatto che è solo una formula codificata? Ma non è forse tutto il linguaggio ad essere una formula, un modo, non è la parola stessa, nella sua astratta singolarità, ad essere un 'modo di dire'?
E' forse per questo che tutti abusano di queste maledette parole? Per il fatto che, modo o meno di dire, non è necessario che segua un' azione al loro pronunciarsi? Non ci credono, le persone, nelle parole. Riempiono gli spazi vuoti della loro vita con sequenze casuali di lettere che prendono in giro la loro stessa esistenza su questo pianeta, dal momento che tutto è vano a dirlo, figuriamoci a farlo.
Io sono così stanca. Così stanca di queso abisso profondo che c'è tra il dire e il fare. Ho un ago piegato dal tempo che cerca di ricucire questa distanza, ma non ci riesce mai.
E' questa l' identità che cerco, questa la mia verità. Questo il senso.
Il soggetto e l' oggetto, parola e realtà. Non come due cose distinte che poi si uniscono, o si completano, o si succedono: no. Come la stessa cosa. La parola come realtà poetica. La realtà come silenzio dell' azione.
Ho la Nausea, quella con la N maiuscola.
sabato 20 ottobre 2012
Al solito...
Un' enorme prigione con dei relativamente grossi prolungamenti, ecco dove mi trovo, o dove ho l'impressione di trovarmi.
Un centro di reclusione quale è la mia casa, la mia stanza in particolare, e poi un grosso cortile dove prendere l' ora d'aria, che spazia dalla città alla periferia, fino alle diramazioni più 'lontane' quali l' università e i paesi limitrofi. Un unico grande paese, il paese dei progionieri, il mio paese, quello che mi porto nonostante tutto nel cuore e che mi ficco a forza nelle vene. Non sarà mai nostalgia, sarà piuttosto l' impronta indelebile che certi luoghi ti lasciano addosso. Un'impronta sudicia, per la fattispecie, untuosa, difficile da lavare via.
E' complicato esprimere le ragioni del proprio cuore; quando le parole sono il frutto del retroterra sociale e culturale che frequenti non sempre vengon fuori come vorresti, e io non sono più in grado di metterci le redini, alle mie parole. Sono scomode e unte come il posto che vivo, del quale respiro l'aria malsana e infetta. Non c'è niente da aggiungere. Porto con me il vessillo della mediocrità che mi circonda, e hai voglia a gridare e a dimenarti, non sono così anch'io, mi ci trovo per sbaglio, è tutto inutile, io sono quello che abito, io sono queste mura scrostate e piene di effigi barocche, io sono la spazzatura che sommerge Nocera, io sono il banco polveroso dell' Università, io sono l' afa in Ottobre, io sono lo smog delle strade nel traffico. E per questo non sono una bella persona.
Questa identificazione mi fa molto soffrire, si è attaccata a me la cosa sbagliata, è vero che desideravo che qualcosa o qualcuno non si separasse più da me, ma mi è andata male, ora mi ritrovo a far l'amore con il marcio, non è una bella cosa.
Perfino i cani in questa gabbia non sono i cani, c'è stato uno scambio di anime, e il mio cane che non parla penso che fosse una gentile, dolce ragazzina dai capelli ramati, in origine, quando nell' universo tutto era diritto e non al rovescio.
Immagino che da qualche parte ci sia la fila per prendere una copia della chiave e uscire, ma io non ho mai avuto tutta questa fortuna con le chiavi, è risaputo. Dopotutto, se fossi in voi, non esiterei a fuggire comunque via anni luce.
Ed è questo quello che provo, un terrore insano di non conoscere mai la libertà, mentre tutti me la strappano da sotto il naso e se ne vanno. Lontano da me. Che non è che poi sia questa grande persona da perdere, eh. Anzi. Sono la più seccante delle donne, la più pedante, quella che si ricorda per filo e per segno tutte le cose dette e quelle non dette e perfino quelle pensate. Un personaggio scomodo, insomma. Una che non si accontenta di fiori e cioccolatini, una che non vuole andare in discoteca e non vuole fare le tre di notte ciondolando tra un locale e un altro, una che non vuole passeggiare in posti ridicoli e che non ama divertirsi forzatamente per far piacere a qualcun altro. Una che se vuole una cosa se la rompe la testa, nel muro. Che non molla l'osso, mai.
Neanche quando l'osso non c'è.
E quindi nulla, non tocca a me fare un bilancio. Ci sono sicuramente posti e persone peggiori di me. Qualche mix ancora più orrido. Sicuramente.
Una vita trascorsa ad aspettare, a guardare gli altri dalla finestra, di nascosto.
Una vita nascosta.
E poi mi si chiede perchè ho timore e orrore della luce, perchè aborro il sole a mezzogiorno e perchè detesto le luci gialle artificiali.
E poi mi si chiede perchè ho timore.
Un centro di reclusione quale è la mia casa, la mia stanza in particolare, e poi un grosso cortile dove prendere l' ora d'aria, che spazia dalla città alla periferia, fino alle diramazioni più 'lontane' quali l' università e i paesi limitrofi. Un unico grande paese, il paese dei progionieri, il mio paese, quello che mi porto nonostante tutto nel cuore e che mi ficco a forza nelle vene. Non sarà mai nostalgia, sarà piuttosto l' impronta indelebile che certi luoghi ti lasciano addosso. Un'impronta sudicia, per la fattispecie, untuosa, difficile da lavare via.
E' complicato esprimere le ragioni del proprio cuore; quando le parole sono il frutto del retroterra sociale e culturale che frequenti non sempre vengon fuori come vorresti, e io non sono più in grado di metterci le redini, alle mie parole. Sono scomode e unte come il posto che vivo, del quale respiro l'aria malsana e infetta. Non c'è niente da aggiungere. Porto con me il vessillo della mediocrità che mi circonda, e hai voglia a gridare e a dimenarti, non sono così anch'io, mi ci trovo per sbaglio, è tutto inutile, io sono quello che abito, io sono queste mura scrostate e piene di effigi barocche, io sono la spazzatura che sommerge Nocera, io sono il banco polveroso dell' Università, io sono l' afa in Ottobre, io sono lo smog delle strade nel traffico. E per questo non sono una bella persona.
Questa identificazione mi fa molto soffrire, si è attaccata a me la cosa sbagliata, è vero che desideravo che qualcosa o qualcuno non si separasse più da me, ma mi è andata male, ora mi ritrovo a far l'amore con il marcio, non è una bella cosa.
Perfino i cani in questa gabbia non sono i cani, c'è stato uno scambio di anime, e il mio cane che non parla penso che fosse una gentile, dolce ragazzina dai capelli ramati, in origine, quando nell' universo tutto era diritto e non al rovescio.
Immagino che da qualche parte ci sia la fila per prendere una copia della chiave e uscire, ma io non ho mai avuto tutta questa fortuna con le chiavi, è risaputo. Dopotutto, se fossi in voi, non esiterei a fuggire comunque via anni luce.
Ed è questo quello che provo, un terrore insano di non conoscere mai la libertà, mentre tutti me la strappano da sotto il naso e se ne vanno. Lontano da me. Che non è che poi sia questa grande persona da perdere, eh. Anzi. Sono la più seccante delle donne, la più pedante, quella che si ricorda per filo e per segno tutte le cose dette e quelle non dette e perfino quelle pensate. Un personaggio scomodo, insomma. Una che non si accontenta di fiori e cioccolatini, una che non vuole andare in discoteca e non vuole fare le tre di notte ciondolando tra un locale e un altro, una che non vuole passeggiare in posti ridicoli e che non ama divertirsi forzatamente per far piacere a qualcun altro. Una che se vuole una cosa se la rompe la testa, nel muro. Che non molla l'osso, mai.
Neanche quando l'osso non c'è.
E quindi nulla, non tocca a me fare un bilancio. Ci sono sicuramente posti e persone peggiori di me. Qualche mix ancora più orrido. Sicuramente.
Una vita trascorsa ad aspettare, a guardare gli altri dalla finestra, di nascosto.
Una vita nascosta.
E poi mi si chiede perchè ho timore e orrore della luce, perchè aborro il sole a mezzogiorno e perchè detesto le luci gialle artificiali.
E poi mi si chiede perchè ho timore.
giovedì 4 ottobre 2012
'Cornut e Mazziat.'
Appuntamento serale consueto con il pianto.
Dovrei invece ridere e rallegrarmi. Parola di chi ne sa più di me.
Ma non ci riesco, proprio non riesco a vedere nell' indolenza una scusa plausibile. Non è che io punti il dito. Non saprei neanche di cosa accusarti. Il discorso è molto più semplice di quanto sembri, ed è proprio la sua lapidarietà a sconvolgermi.
Caso volle che mi fu revocato anche il diritto di replica. Di reazione. Esiste il diritto alla reazione? O forse era una legge fisica? La vita mi schiaccia totalmente e io non sono neanche in grado di farmi schiacciare come si deve. Non ho nessuna delle virtù; nè il coraggio, nè l' abnegazione. Sto nel mezzo. E mi prendo il peggio di entrambe le cose.
Quando arriverà il mio momento di gloria? Il mio giorno da leone? Ma, sopratutto, arriverà?
Non trovo una metafora migliore per dire come mi sento, quindi userò una formula tradizionale: cornut e mazziat.
Dovrei invece ridere e rallegrarmi. Parola di chi ne sa più di me.
Ma non ci riesco, proprio non riesco a vedere nell' indolenza una scusa plausibile. Non è che io punti il dito. Non saprei neanche di cosa accusarti. Il discorso è molto più semplice di quanto sembri, ed è proprio la sua lapidarietà a sconvolgermi.
Caso volle che mi fu revocato anche il diritto di replica. Di reazione. Esiste il diritto alla reazione? O forse era una legge fisica? La vita mi schiaccia totalmente e io non sono neanche in grado di farmi schiacciare come si deve. Non ho nessuna delle virtù; nè il coraggio, nè l' abnegazione. Sto nel mezzo. E mi prendo il peggio di entrambe le cose.
Quando arriverà il mio momento di gloria? Il mio giorno da leone? Ma, sopratutto, arriverà?
Non trovo una metafora migliore per dire come mi sento, quindi userò una formula tradizionale: cornut e mazziat.
martedì 2 ottobre 2012
Silenzio intorno.
Silenzio intorno.
La luce è tenue e il telefono è chiuso. Non può squillare. Il peso aumenta. Partendo da zero, come ogni volta. Aumenta e aumenta. Si accavallano i risentimenti, i torti, le umiliazioni. Si dilatano le assenze, le mancanze. Mentre cenavo mi frullavano per la testa tantissime cose, invettive sopratutto. Poi, messa di fronte questa pagina di libero sfogo, sono rimasta immobile, come spesso mi succede.
Questo è sintomo di una cosa sola, e cioè del mio progressivo 'svuotamento interiore'.
Sono vicinissima alla fase 'il mio cuore è un secchio svuotato.' Non so se domani mi sveglierò e potrò dire ancora una volta 'si, sono svuotata, come e peggio di un secchio.' Neanche mi interessa.
Oggi è stata una giornata molto movimentata, ma in senso positivo, fino ad un certo punto.
Ho seguito un corso universitario che si prospetta interessante e sono stata accanto ad un'amica. Ho perfino cominciato a sfogliare uno dei libri di testo. Ho programmato il mio studio per domani e tutto sembrava filare liscio fin quando non è arrivata puntuale l' ennesima angosciante umiliazione della mia vita. Ho preso coscienza di non potermi fidare e affidare neanche alla persona che credevo fosse la più fidata di tutte. Ho capito che le mie richieste e i miei sentimenti possono finire con una facilità estrema nella bocca di certa plebaglia che può storpiarli rendendoli (ancora più) ridicoli e nauseanti. Ho capito che al mondo si sta sempre soli, ma si sta sempre pieni di rotture di cazzo, e ho capito che questa è un' anacronia insanabile dell' esistenza, una delle tante. Ho capito che la vera natura di un individuo non si può sopprimere, ma si può tenere a bada per il rispetto e l' amore che si ha per l'altro. E ho capito che solo io la penso così.
Solo per me l'amore è quello che è. Solo per me e da me ritorna questo sentimento di eterna devozione. E solo io finisco sempre per allontanarmene, delusa.
La luce è tenue e il telefono è chiuso. Non può squillare. Il peso aumenta. Partendo da zero, come ogni volta. Aumenta e aumenta. Si accavallano i risentimenti, i torti, le umiliazioni. Si dilatano le assenze, le mancanze. Mentre cenavo mi frullavano per la testa tantissime cose, invettive sopratutto. Poi, messa di fronte questa pagina di libero sfogo, sono rimasta immobile, come spesso mi succede.
Questo è sintomo di una cosa sola, e cioè del mio progressivo 'svuotamento interiore'.
Sono vicinissima alla fase 'il mio cuore è un secchio svuotato.' Non so se domani mi sveglierò e potrò dire ancora una volta 'si, sono svuotata, come e peggio di un secchio.' Neanche mi interessa.
Oggi è stata una giornata molto movimentata, ma in senso positivo, fino ad un certo punto.
Ho seguito un corso universitario che si prospetta interessante e sono stata accanto ad un'amica. Ho perfino cominciato a sfogliare uno dei libri di testo. Ho programmato il mio studio per domani e tutto sembrava filare liscio fin quando non è arrivata puntuale l' ennesima angosciante umiliazione della mia vita. Ho preso coscienza di non potermi fidare e affidare neanche alla persona che credevo fosse la più fidata di tutte. Ho capito che le mie richieste e i miei sentimenti possono finire con una facilità estrema nella bocca di certa plebaglia che può storpiarli rendendoli (ancora più) ridicoli e nauseanti. Ho capito che al mondo si sta sempre soli, ma si sta sempre pieni di rotture di cazzo, e ho capito che questa è un' anacronia insanabile dell' esistenza, una delle tante. Ho capito che la vera natura di un individuo non si può sopprimere, ma si può tenere a bada per il rispetto e l' amore che si ha per l'altro. E ho capito che solo io la penso così.
Solo per me l'amore è quello che è. Solo per me e da me ritorna questo sentimento di eterna devozione. E solo io finisco sempre per allontanarmene, delusa.
lunedì 24 settembre 2012
Auguri Tabucchi.
Breve pensiero serale.
Come avevo previsto ieri, proprio così è trascorsa la giornata.
Tuttavia non posso per questo dirmi insoddisfatta, anzi. Ho portato a termine (o forse ho appena cominciato) un affare che tenevo lì sospeso da tempo, ho fatto acquisti di ordine culturale, ho fatto attività fisica (!) e ora sono molto stanca. Una di quelle stanchezze confortevoli. Penso che ora me ne andrò a leggere nel mio lettino mentre il vento tortura i vetri della finestra.
In qualche modo mi sento al sicuro, protetta da qualcuno o da qualcosa. C'è un certo calore dentro di me oggi. Ho dato amore e dedizione e ne ho ricevuto altrettanto. E' una bella cosa l' esser ricambiati.
Mi sforzo di controllare i miei impulsi e i miei pensieri, ma ci sbatto contro lo stesso, sempre. Non devo evitarli, ma affrontarli e ridurli in cenere (quelli negativi ovviamente).
E adesso, buon compleanno maestro.
'Ora Tristano è davvero stanco, non ha più fiato, lo senti, avrebbe voglia di dormire, ma non il breve sonno di un'inizione, a lungo, come deve essere lungo il sonno che compensi la fatica di aver vissuto.'
Come avevo previsto ieri, proprio così è trascorsa la giornata.
Tuttavia non posso per questo dirmi insoddisfatta, anzi. Ho portato a termine (o forse ho appena cominciato) un affare che tenevo lì sospeso da tempo, ho fatto acquisti di ordine culturale, ho fatto attività fisica (!) e ora sono molto stanca. Una di quelle stanchezze confortevoli. Penso che ora me ne andrò a leggere nel mio lettino mentre il vento tortura i vetri della finestra.
In qualche modo mi sento al sicuro, protetta da qualcuno o da qualcosa. C'è un certo calore dentro di me oggi. Ho dato amore e dedizione e ne ho ricevuto altrettanto. E' una bella cosa l' esser ricambiati.
Mi sforzo di controllare i miei impulsi e i miei pensieri, ma ci sbatto contro lo stesso, sempre. Non devo evitarli, ma affrontarli e ridurli in cenere (quelli negativi ovviamente).
E adesso, buon compleanno maestro.
'Ora Tristano è davvero stanco, non ha più fiato, lo senti, avrebbe voglia di dormire, ma non il breve sonno di un'inizione, a lungo, come deve essere lungo il sonno che compensi la fatica di aver vissuto.'
domenica 23 settembre 2012
Domeniche
La domenica è un giorno tristissimo, e come ha scritto qualcuno recentemente, non si smette mai di parlare di quanto sia orribile questa tappa della settimana, dalla quale nessuno può scampare, neanche il padreterno.
Quuesta domenica, in fondo, non è poi neanche stata più terribile delle altre, anzi, penso sia stata una delle più sopportabili, se non addirittura una delle più piacevoli. Tuttavia incombe sul mio capo la minaccia di ben 5 domeniche future intrise di depressione e voglia di suicidio... e la cosa non è molto allettante.
A volte mi soprendo di me stessa, perchè riesco perfino a fare dell' autoironia. Ma il più delle volte...beh il più delle volte è dura uscirne. C'è anche da dire che tra una settimana ricomincerà il tram tram universitario e mai come quest' anno non mi sento nè pronta nè tantomeno felice di ricominciare... ormai sono stanca, e l' unica cosa al cui pensiero mi pare di star meglio è la prospettiva del tirocinio e della stesura della tesi... Per il resto: corsi, esami, nozioni da infilare nel cervello, e così via.
E poi lontananza, mancanza, assenza, parole ricorrenti nella mia vita sentimentale che non smettono un minuto di ossessionarmi, togliendomi il respiro e impedendomi di godere appieno anche dei momenti di quiete e di appagamento totali. Perchè poi, non è solo la lontananza, no. E' anche la difficoltà, l' ostacolo, il bastone che puntualmente mi viene messo tra le ruote... La stanchezza, dio come dimenticare la stanchezza, che mi taglia le gambe e mi spegne la voce in gola? Se nemmeno le istituzioni, la legge, la giustizia di questo cazzo riescono a tenderti una mano, o meglio non vogliono tendertela, allora che fare? Valigie e via? Certo, ma non prima di aver portato a termine quello che ho cominciato.
Il mio percorso professionale. L' università. Cinque anni di lacrime e sangue. Per rincorrere un sogno banale. Ma mio. Non posso rinunciare a tutto questo. Ma bisogna sempre rinunciare a qualcos'altro. E se entrambe le cose sono irrinunciabili allora che farci?
E' proprio così che passano le giornate. Una domanda, un affare da sbrigare, uno sbadiglio, un impegno da portare a termine. Non so nulla di nulla. Nessuno lo sa. Eppure non si fa altro che parlare, progettare, ipotizzare, pensare. Tutto così dannatamente inutile.
Concentrarsi su un obiettivo... un buon modo di distrarsi? Forse. Ma le distanze mi spaventano. Il tempo che intercorre tra me e la meta mi congela il sangue.
Ripenso alla mia adolescenza, a quanto ci tenessi per la bella prosa, qualunque cosa facessi, sopratutto quando scrivevo una pagina di diario, su un blog. Apparire. La logica peggiore. Se tutti imparassero ad essere spontanei il mondo ne guadagnerebbe tanto. A cosa serve essere perfetti e asettici in uno stupido blog che deve parlare delle tue stupide emozioni? Lasciarsi andare, sempre. Nei limiti della decenza grammaticale, è chiaro, e con stile, certamente. Ora mi fan ridere certe cose. Ora, ora si che ho capito la differenza tra essere scrittori ed essere se stessi. I luoghi dell' essere non vanno mai profanati. Purtroppo non c'è meritocrazia che tenga.
Domani mi sveglierò e deciderò cosa fare. Forse me ne andrò da sola da qualche parte. Aspetterò con ansia un libro che darà il via alla mia avventura da laureanda e conquisterò il letto dopo una serata sfiancante in palestra. Sospirerò al telefono sentendolo parlare e magari vedrò un' amica. Mi renderò conto di quanto questi giorni siano preziosi tra una settimana, quando dovrò sgobbare sui libri e stressarmi con viaggi deficienti. A quel punto rimpiangerò questo stato di ozio e forse verserò qualche lacrima di nervosismo. Il vento mi asciugherà la faccia e continuerò a fare quello che devo fare.
Quuesta domenica, in fondo, non è poi neanche stata più terribile delle altre, anzi, penso sia stata una delle più sopportabili, se non addirittura una delle più piacevoli. Tuttavia incombe sul mio capo la minaccia di ben 5 domeniche future intrise di depressione e voglia di suicidio... e la cosa non è molto allettante.
A volte mi soprendo di me stessa, perchè riesco perfino a fare dell' autoironia. Ma il più delle volte...beh il più delle volte è dura uscirne. C'è anche da dire che tra una settimana ricomincerà il tram tram universitario e mai come quest' anno non mi sento nè pronta nè tantomeno felice di ricominciare... ormai sono stanca, e l' unica cosa al cui pensiero mi pare di star meglio è la prospettiva del tirocinio e della stesura della tesi... Per il resto: corsi, esami, nozioni da infilare nel cervello, e così via.
E poi lontananza, mancanza, assenza, parole ricorrenti nella mia vita sentimentale che non smettono un minuto di ossessionarmi, togliendomi il respiro e impedendomi di godere appieno anche dei momenti di quiete e di appagamento totali. Perchè poi, non è solo la lontananza, no. E' anche la difficoltà, l' ostacolo, il bastone che puntualmente mi viene messo tra le ruote... La stanchezza, dio come dimenticare la stanchezza, che mi taglia le gambe e mi spegne la voce in gola? Se nemmeno le istituzioni, la legge, la giustizia di questo cazzo riescono a tenderti una mano, o meglio non vogliono tendertela, allora che fare? Valigie e via? Certo, ma non prima di aver portato a termine quello che ho cominciato.
Il mio percorso professionale. L' università. Cinque anni di lacrime e sangue. Per rincorrere un sogno banale. Ma mio. Non posso rinunciare a tutto questo. Ma bisogna sempre rinunciare a qualcos'altro. E se entrambe le cose sono irrinunciabili allora che farci?
E' proprio così che passano le giornate. Una domanda, un affare da sbrigare, uno sbadiglio, un impegno da portare a termine. Non so nulla di nulla. Nessuno lo sa. Eppure non si fa altro che parlare, progettare, ipotizzare, pensare. Tutto così dannatamente inutile.
Concentrarsi su un obiettivo... un buon modo di distrarsi? Forse. Ma le distanze mi spaventano. Il tempo che intercorre tra me e la meta mi congela il sangue.
Ripenso alla mia adolescenza, a quanto ci tenessi per la bella prosa, qualunque cosa facessi, sopratutto quando scrivevo una pagina di diario, su un blog. Apparire. La logica peggiore. Se tutti imparassero ad essere spontanei il mondo ne guadagnerebbe tanto. A cosa serve essere perfetti e asettici in uno stupido blog che deve parlare delle tue stupide emozioni? Lasciarsi andare, sempre. Nei limiti della decenza grammaticale, è chiaro, e con stile, certamente. Ora mi fan ridere certe cose. Ora, ora si che ho capito la differenza tra essere scrittori ed essere se stessi. I luoghi dell' essere non vanno mai profanati. Purtroppo non c'è meritocrazia che tenga.
Domani mi sveglierò e deciderò cosa fare. Forse me ne andrò da sola da qualche parte. Aspetterò con ansia un libro che darà il via alla mia avventura da laureanda e conquisterò il letto dopo una serata sfiancante in palestra. Sospirerò al telefono sentendolo parlare e magari vedrò un' amica. Mi renderò conto di quanto questi giorni siano preziosi tra una settimana, quando dovrò sgobbare sui libri e stressarmi con viaggi deficienti. A quel punto rimpiangerò questo stato di ozio e forse verserò qualche lacrima di nervosismo. Il vento mi asciugherà la faccia e continuerò a fare quello che devo fare.
mercoledì 19 settembre 2012
Giornata tipo.
Credo che la palestra sia una tortura legalizzata e anche costosa.
Una tortura lussuosa.
E io ci sono finita dentro, in questo circolo vizioso del bello solo se sudato e sgrassato.
Ci sono finita dentro perchè a vent' anni suonati fare una rampa di scale mi faceva venire il fiatone e la pressione mi saliva a 200. Ci sono finita perché spero ancora che esista un metodo non miracoloso per guadagnare 10 centimetri in altezza e rendere esili le mie cosce compatte. Ma questo metodo non esiste e, ahimè, le autoreggenti non potranno MAI starmi bene. E io insisto. Ed è un'altra storia.
La prendo come un dovere questa storia della palestra, come una medicina amara insomma. Che poi vado lì, e cerco di fare tutto in fretta e furia per ridurre la sofferenza, ma mi ritrovo col fiato corto, i capelli appiccicati alla fronte e un tremore diffuso. Quindi, dopo 20 minuti di cyclette, una manciata di addominali e di altre robe assurde per glutei e cosce, vado a buttarmi sotto la doccia, spendendo altri 20 cent. dei miei risparmi. Lì mi insapono e mi guardo lo stesso centimetro di pancia, di fianchi e di interno coscia che ho da quando avevo 13 fottutissimi anni. Non sono mai cambiata di un grammo, non in maniera influente almeno. Sono sempre rimasta più o meno la stessa, sia che mangiassi come un porco, sia che mi nutrissi come un giovine augello.
E questo non capita solo a me, a quanto pare; difatti c'è gente che soffre in quella stanza orribile molto più di quanto faccia io, e questo lo deduco dal fatto che molte persone sono già lì quando arrivo e ci restano quando me ne vado. Pur rimanendo in sostanza sempre IDENTICI. Sudano, puzzano, e hanno sempre le stesse cosce e le stesse pance enormi.
Porca puttana, ma se le faranno due domande? O si divertono ad autoinfliggersi tutto questo dolore? Domanda da un milione di dollari...
In ogni caso, anche stasera ho buttato la mia dose quotidiana di sangue e sono uscita dalla doccia trionfante e con la testa che mi pulsava dal dolore. Ho cercato di dissolvere il sudore tra i capelli col phon e mi sono guardata nello spacchio, trovandomi come sempre ogni volta diversa. Penso che non mi conoscerò mai. Vedo nelle mie pose e nei miei profili alcuni volti sconosciuti, li riconosco nella loro diversità, metto il naso un pò più a destra e penso 'ecco, ecco, ora sono proprio lei', mi giro da un altro lato spalancando gli occhi e tirando su col naso e rifletto 'ora non c'è più, ecco che arriva qualcun altro', e così via.
E' sempre frustrante doversi guardare allo specchio se non si conosce la propria discendenza.
Poi sono uscita dalla palestra con la stessa canotta blu della Alcott con la quale durante la settimana dormo, mangio, esco, sto in casa, lavoro, e molto altro, e mi sono avviata verso casa costeggiando il Liceo Classico.
Le finestre serrate mi hanno strappato un sorriso e il mio pensiero è andato al libro di Starnone che sto divorando e al mio lavoro pomeridiano saltuario. Ho sorriso di nuovo e ho tentato di ricordare in quale giorno ho deciso che avrei voluto fare l' insegnante, ma non mi è venuto in mente. Probabilmente è stato un processo graduale, come avviene sempre per le grandi decisioni, uno sfumare di un pensiero in un altro fino al raggiungimento di una decisione compiuta, una consapevolezza come un' altra che mi porto dentro fin dall' origine e che pian piano è venuta fuori dal suo guscio. Forse è solo questo quello che chiamano destino.
Poi ho pensato a lui, che è lontano ma è sempre vicino, e al suo profilo perfetto anche se un pò ossuto. Al suo naso all' insù e alle sue labbra carnose. Al suo pomo d'adamo e ai suoi polsi stretti e nodosi. Ho pensato a me attraverso di lui e mi sono pensata e vista bellissima. Poi l'ho chiamato e gli ho parlato dolcemente, cercando di infilare tutto l'amore possibile in un paio di frasi di circostanza. Ogni giorno mi accorgo di provare per quest' uomo un amore crescente, e forse anche questa è una consapevolezza congenita che vien fuori gradualmente, e se così fosse allora ci sarebbe di che gioire, il destino mi ha messo in cuore il seme di questo amore, che grande dono mi ha fatto la vita.
Ora sto per concludere questo post, e non so neanche perché l' ho scritto. Probabilmente ho nostalgia del genere autobiografico.
Una tortura lussuosa.
E io ci sono finita dentro, in questo circolo vizioso del bello solo se sudato e sgrassato.
Ci sono finita dentro perchè a vent' anni suonati fare una rampa di scale mi faceva venire il fiatone e la pressione mi saliva a 200. Ci sono finita perché spero ancora che esista un metodo non miracoloso per guadagnare 10 centimetri in altezza e rendere esili le mie cosce compatte. Ma questo metodo non esiste e, ahimè, le autoreggenti non potranno MAI starmi bene. E io insisto. Ed è un'altra storia.
La prendo come un dovere questa storia della palestra, come una medicina amara insomma. Che poi vado lì, e cerco di fare tutto in fretta e furia per ridurre la sofferenza, ma mi ritrovo col fiato corto, i capelli appiccicati alla fronte e un tremore diffuso. Quindi, dopo 20 minuti di cyclette, una manciata di addominali e di altre robe assurde per glutei e cosce, vado a buttarmi sotto la doccia, spendendo altri 20 cent. dei miei risparmi. Lì mi insapono e mi guardo lo stesso centimetro di pancia, di fianchi e di interno coscia che ho da quando avevo 13 fottutissimi anni. Non sono mai cambiata di un grammo, non in maniera influente almeno. Sono sempre rimasta più o meno la stessa, sia che mangiassi come un porco, sia che mi nutrissi come un giovine augello.
E questo non capita solo a me, a quanto pare; difatti c'è gente che soffre in quella stanza orribile molto più di quanto faccia io, e questo lo deduco dal fatto che molte persone sono già lì quando arrivo e ci restano quando me ne vado. Pur rimanendo in sostanza sempre IDENTICI. Sudano, puzzano, e hanno sempre le stesse cosce e le stesse pance enormi.
Porca puttana, ma se le faranno due domande? O si divertono ad autoinfliggersi tutto questo dolore? Domanda da un milione di dollari...
In ogni caso, anche stasera ho buttato la mia dose quotidiana di sangue e sono uscita dalla doccia trionfante e con la testa che mi pulsava dal dolore. Ho cercato di dissolvere il sudore tra i capelli col phon e mi sono guardata nello spacchio, trovandomi come sempre ogni volta diversa. Penso che non mi conoscerò mai. Vedo nelle mie pose e nei miei profili alcuni volti sconosciuti, li riconosco nella loro diversità, metto il naso un pò più a destra e penso 'ecco, ecco, ora sono proprio lei', mi giro da un altro lato spalancando gli occhi e tirando su col naso e rifletto 'ora non c'è più, ecco che arriva qualcun altro', e così via.
E' sempre frustrante doversi guardare allo specchio se non si conosce la propria discendenza.
Poi sono uscita dalla palestra con la stessa canotta blu della Alcott con la quale durante la settimana dormo, mangio, esco, sto in casa, lavoro, e molto altro, e mi sono avviata verso casa costeggiando il Liceo Classico.
Le finestre serrate mi hanno strappato un sorriso e il mio pensiero è andato al libro di Starnone che sto divorando e al mio lavoro pomeridiano saltuario. Ho sorriso di nuovo e ho tentato di ricordare in quale giorno ho deciso che avrei voluto fare l' insegnante, ma non mi è venuto in mente. Probabilmente è stato un processo graduale, come avviene sempre per le grandi decisioni, uno sfumare di un pensiero in un altro fino al raggiungimento di una decisione compiuta, una consapevolezza come un' altra che mi porto dentro fin dall' origine e che pian piano è venuta fuori dal suo guscio. Forse è solo questo quello che chiamano destino.
Poi ho pensato a lui, che è lontano ma è sempre vicino, e al suo profilo perfetto anche se un pò ossuto. Al suo naso all' insù e alle sue labbra carnose. Al suo pomo d'adamo e ai suoi polsi stretti e nodosi. Ho pensato a me attraverso di lui e mi sono pensata e vista bellissima. Poi l'ho chiamato e gli ho parlato dolcemente, cercando di infilare tutto l'amore possibile in un paio di frasi di circostanza. Ogni giorno mi accorgo di provare per quest' uomo un amore crescente, e forse anche questa è una consapevolezza congenita che vien fuori gradualmente, e se così fosse allora ci sarebbe di che gioire, il destino mi ha messo in cuore il seme di questo amore, che grande dono mi ha fatto la vita.
Ora sto per concludere questo post, e non so neanche perché l' ho scritto. Probabilmente ho nostalgia del genere autobiografico.
martedì 11 settembre 2012
Ritorni.
Che ironia la sorte, questa sorte, che stasera mi spinge a scrivere su questo blog dopo circa un anno di assenza, giorno più, giorno meno.
In verità mi ero completamente dimenticata di avercelo, questo blog. Pensavo fosse stato disabilitato o qualcosa del genere.
Volevo aprirne un altro, ho pensato 'torno a casa e apro uno stupido blog', perchè penso che oggi sia un giorno da ricordare, anche se non è successo niente, perchè è il giorno prima che succeda qualcosa.
Ed è stato più o meno così che mi sono messa al pc e sono incappata nel mio vecchio blog, arido di post e commenti, buttato lì tanto per durante un periodo di scazzo come un altro.
Ma l' aspetto pungente di tutta questa storia scialba risiede nel fatto che l' ultimo intervento, che tra pochi giorni festeggerà il suo anniversario, parla proprio di quello per cui avevo deciso di tornare a scrivere. Cioè parla della stessa, identica problematica. E' come se la mia vita fosse esattamente la stessa. In realtà lo è. Non è cambiato nulla. Potrei modificare l' anno di quel post e non sembrerebbe affatto strano o anacronistico a coloro che mi conoscono.
E tutto questo è colpa mia. Solo mia.
Sono io che non ho voluto cambiare le cose, che non sono stata in grado di farlo, che ho peccato di ingenuità e di poco coraggio.
Però, ecco, una differenza sostanziale rispetto allo scorso anno c'è.
Ed è il motivo principale per cui volevo scrivere stasera, qui sopra.
Stavolta, quest' anno intendo, io ho deciso. Io mi sono mossa. Ho fatto un passo. Piccolo? Forse. Importante? Di sicuro. Fondamentale? Non so ancora dirlo.
Ho deciso di dire basta. Ho deciso di essere me stessa, e di esserlo nel bene ma sopratutto nel male. Di uscire allo scoperto e di chiedere al mondo 'scusa, ma è normale tutto questo?'.
Il mondo mi ha detto che per una volta, la sacrosanta ragione ce l'ho io. Ma che ci faccio poco, con quella.
E allora, che farci? Chiedo una mano alla vita, che si tende. Domani qualcuno dirà al posto mio che non è giusto, che bisogna rivedere certe cose, che bisogna imparare ad ascoltare. Si, probabilmente non servirà a nulla. Non puoi obbligare gli altri ad amarti, e neanche a rispettarti, o per lo meno, non con le semplici parole. Eh si signori miei, perchè ad un certo punto sono solo i fatti a contare. E allora, forza, tutti pronti a fare i fatti!
Però, e dico però, anche se con le parole non ci si fa nulla, una breccia si aprirà. Dalla ferita potrà uscire veleno ed entrare aria buona, oppure infiltrarsi polvere. Si potrebbe andare incontro ad un' infezione grave. Pazienza, guarirà. In qualche modo guariremo tutti. Prima o poi. Non importa se più poi che prima.
Eleonora.
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