Vettriano

Vettriano

sabato 20 luglio 2013

.

I disastri maggiori nascono dall' incapacità di gestire una pluralità. In alcuni individui tale pluralità non si presenta, ed è più facile. In altri, invece, l' anima si manifesta così, plurale: vuoi per un' accentuata curiosità, vuoi per un' acutezza intellettuale superiore, vuoi per un fortuito caso. Ebbene, chi nasce con un' anima plurale ha il dovere morale nei confronti di se stesso e del mon...do di educarsi alla corretta gestione del proprio Io, rischiando, altrimenti, di generare un meccanismo corrotto e vorticoso, un pensiero circolare all' interno del quale il soggetto passa da un' idea all' altra senza smettere mai di non-essere; non già come i sofisti, nobili e scaltri possessori del proprio Io e del loro opposto, manipolatori del pensiero, ma come belve irragionevoli ed affamate, condannate a non cibarsi mai di nulla poichè non hanno la capacità nonchè la lucidità di discernere il commestibile dal velenoso, prese come sono dai loro terrori incontrollati, dai loro istinti insaziabili. Chi ha un' anima plurale è condannato alla riflessione, alla meditazione, alla convivenza scomoda con se stesso: solo se dialogherà costantemente con tutte le sue parti in causa, ponendosi tra loro come mediatore e risolutore di dispute, solo se i suoi occhi incontreranno centinaia di righe vergate dai Maestri del pensiero, solo se vivrà in nome dell' umanità dei sentimenti, vivrà una vita dignitosa e soddisfacente. In caso contrario, errerà senza possedere nulla, poichè in primo luogo non possiederà se stesso, e dunque non potrà scegliere neanche di non possedere, poichè non saprà discernere il possesso dal non possesso, l' amore dal sesso, l' abitudine dalla struttura: vagherà tra le terrene sorti disgraziate mentre un inguaribile male lo divora dall' interno. E' questo male è la negazione di se stessi, ed è un male terribile, perchè lo ha generato il caos: e se al caos non subentra il cosmos, allora per l' uomo non v'è alcuna possibilità di vita su questa terra.

E' solo un altro giro di giostra.

Questa sonnolenza è uno stordimento dell' essere che necessita solo di se stessa: un vortice dal quale è difficile uscire, perché intorno a me non c'è nessuno in grado di tirarmi fuori. La mia anima ha bisogno di lunghi silenzi e di giornate di stasi: tuttavia io la sforzo, perché è opinione comune che a fermarsi, in questi casi, c'è il rischio di affezionarsi troppo a certi fantasmi che poi non vanno più via. Ed è per questo che oggi sto scrivendo, per celebrare in qualche modo che ancora non so prevedere la fine del mio primo ciclo di studi universitari, poiché circa quattro giorni fa, (solo quattro giorni fa, e mi sembra che siano passati mesi) in condizioni oserei dire più che pietose, ho dato il mio ultimo esame. Il giorno dell' ultimo esame mi sembrava molto, molto lontano, quando ho cominciato questo percorso esattamente tre anni fa: ero convinta che in tre anni la mia vita sarebbe stata stravolta, cambiata, rovesciata, che io sarei cresciuta e che non sarei stata più la stessa, che centinaia di eventi mi avrebbero travolta costruendo una rinnovata esperienza di vita, ed in effetti così è stato, è così era giusto che fosse, ma mai, mai, neanche nei miei peggiori incubi avrei mai creduto che l' ultimo esame io lo facessi nel modo in cui l' ho fatto e cioè completamente sola, totalmente annientata come donna e come persona, digiuna da quasi una settimana e confusa all' inverosimile sul programma da preparare ed esporre. Eppure, amici e nemici miei, l' ho fatto. Ho fatto l' ultimo esame. L' ho fatto, e mi è anche andata bene. Ho preso un altro trenta. L' ultimo di questa triennale. Tutto si è svolto secondo la regola, senza che l' esito della mia preparazione venisse scalfito dal baratro nero che avevo dentro. Non mi ha divorata, non ce l' ha fatta. In qualche modo che ancora non so io sono stata più forte di lui. Ho stretto il pugno e i denti fino a farmi male. Ho studiato inzuppando il libro di lacrime, e non voglio la compassione di nessuno, perché non ne ho bisogno. Ho lottato contro la verità amara e incontrovertibile che le cose succedono senza meriti e demeriti, perché anzi, quanto più dai amore tanto più sei destinato a diventare cenere: chi sa portarti per mano è possibile che un giorno o l' altro questa sua mano la strappi via dalla tua, che ti dia una spinta, che ti faccia cadere, rotolare sull' asfalto, romperti le ossa, graffiarti il viso e le ginocchia, e che ti guardi mentre succede tutto questo senza colpo ferire, e che poi si giri e se ne vada, senza mai più voltarsi indietro. Succede, è naturale, non siamo esseri perfetti, nè angeli, il peccato e l' errore sono a noi congeniti, e allora tu puoi fare due cose, entrambe dolorosissime e senza una riuscita certa a breve termine: o resti a terra, sul cemento striato del tuo sangue, inerme, con gli occhi chiusi, e ti lasci morire lentamente nell' attesa che passi un camion a tutta velocità, o ti trascini faticosamente sul ciglio della strada e tenti di rimetterti in piedi. Quando ho provato a camminare sulle mie gambe, il primo tentativo è stato più che fallimentare: mi bruciavano gli organi interni e sembrava che mi avessero strappato il primo strato di pelle, tanto che mi faceva male addosso anche solo l' aria che respiravo. Le gambe hanno ceduto non so quante volte, prima di riprendere stabilità: una volta in piedi, ho cercato di accennare a qualche passo. E sono caduta, rovinosamente. Dunque ho tirato un lungo sospiro, e una valanga di pietre e fango mi ha sommersa. Ho preso coscienza all' improvviso di una verità che avrei vilmente preferito ignorare per il resto dei miei giorni: Eleonora, hai fatto una grandissima cazzata. Si, in fondo lo hai sempre saputo che avevi fatto una grandissima cazzata, ma finché si è giovani, e si hanno tutti i capelli in testa, ti senti addosso un coraggio svergognato di investire. Lo hai inflitto, e lo hai subito. Lo hai inflitto, e lo hai subito. E la vita gira e gira e gira sempre uguale per tutti. Ma, la cosa più atroce di tutte, è che se non avessi compiuto questo errore fatale, mai mi sarei accorta di quello che era reale, e davvero importante per me, in fondo. Probabilmente avrei vissuto con degli ingombranti rimpianti, e non sarei maturata, né mi sarei chiarita tutti i miei dubbi interiori. Ne vale la pena, non ne vale? Come ho imparato a mie spese a volte è giusto fare la cosa sbagliata, e non per un eccesso di zelo, né per presunzione, ma soltanto perché in un determinato momento della tua vita ti accorgi che, anche contro ogni logica e ogni sentimento, la cosa che devi fare è quella. Punto. Dove ti porterà solo Dio può saperlo, e se la strada è un vicolo cieco, allora potrai finalmente dire a te stesso: si, avevano ragione nel dire che stavo sbagliando, ma se non avessi sbagliato non lo avrei mai saputo. E questo è. Questo vale più di ogni altra cosa, poiché l' uomo spesso finge di non essere quello che è: un inguaribile egoista. Un pallone gonfiato, un egocentrico, insoddisfatto di ogni cosa. Allora adesso mi direte, o penserete: mi dispiace, oppure, ti sta bene, stronza. Non importa. Non è importante. L' importante è che so chi sono, e so quello che voglio. Se non posso averlo, anche questo, è poco importante. So aspettare, e mi tocca una lunga attesa adesso. A piccoli passi ho raggiunto un posto dove potermi leccare le ferite e medicarle alla bell' e meglio. Ora devo aspettare che tutto cicatrizzi per guardare in faccia la realtà senza rimanerne abbagliata. Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicino, che hanno cercato più o meno invano di farmi capire come stavano le cose, di strapparmi dalla faccia il velo sbiadito dell' errore, dell' irragionevolezza. Ringrazio chi mi ha spinto anche duramente a continuare nello studio, senza lasciare la presa, e chi mi ha invitato a riposare, e a rimandare, poiché nessuno è perfetto, e la fallibilità è umana, e non c'è da vergognarsene. Ringrazio la casualità degli eventi e me stessa per aver portato a termine ugualmente il mio percorso universitario, e per avermi regalato mezz'ora di lucidità, attraverso la quale conquistare ciò che adesso conta più di ogni altra cosa. I 'se' sono così belli da pensare, peccato che non abbiano riscontro reale. Se avessi ignorato me stessa, la mia vorace curiosità. Se fossi stata lungimirante. Se avessi riflettuto ancora e ancora, di più. Se avessi capito la verità senza ferirmi prima a morte, ferendo di riflesso un sacco di altre persone. Se potessi rimediare a tutto questo. Io non lo so, non voglio e non posso vivere di se.Voglio vivere di me. E cercare di dare il meglio, di dare purezza e limpidità di pensiero e di sentimento, senza covare rancori, senza nutrire paure. Senza guardarmi indietro, ma andando sempre avanti. E se sul mio avanti riuscissi col sangue e coi denti a riportare ciò che stupidamente ho lasciato indietro, allora sarei totalmente felice. Ma quello che pure ho imparato è che siamo comunque e sempre devoti soltanto e prima di tutto a noi stessi: l' autodifesa è la prima delle necessità. Io oggi mi spoglio di tutte le difese, perché mi sono fatta così male da non poterne provare più. Sono satura di dolore, e se volete, potete rovesciarmene altro addosso, non importa, non è importante. Quello che è importante è dire la verità, sempre, a se stessi, e poi agli altri. Io la verità finalmente la vedo chiara. E' tardi, è presto, è giusto, è sbagliato? Non lo so. Ma me la sento tutta dentro. Ed è quasi ora che, con discrezione ed educazione, cominci a spuntare un po' fuori. E poi sia quel che sia.