Vettriano

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lunedì 13 ottobre 2014

'La morte è la curva della strada, / morire è solo non essere visto' .

La consapevolezza della morte reca con sé una profonda sete di vita. Per tale ragione, anche se conduciamo un' esistenza mediocre, apatica, larvale, sentiamo di voler esserci a tutti i costi e il più a lungo possibile quando qualcuno se ne va. Il prossimo potresti essere tu. Potrei essere io. E tra il nulla eterno e la capacità di pensare un Io sbiadito, sempre meglio la seconda. Ce la meritiamo la terra? Accade. Uno spermatozoo coraggioso. O uno solamente più fortunato. Nasciamo. Non conosciamo che i pochi contenitori vuoti di un' esperienza sensibile fallibile, e se ci guardiamo dentro, pozzi neri di imperfezioni luride. Un ricettacolo di vizi e menzogne. Sotto lo stesso cielo. Poi ci sono le leggi. Che regolano gli omicidi e li prevengono. Perché l' essere umano è pavido. Poi c'è la letteratura. Il vezzo dei disgraziati che, più sfortunati degli altri, vengono al mondo con una capacità di comprensione eccessiva e hanno necessariamente bisogno di una consolazione ritmica. Su questi campi di infertili squallori s' innesta poi la famosa ginestra, che chiamo Amore: sentimento di nobili intenti, codificato in maniera tale da sembrare universale e salvifico, porto sicuro contro ogni tipo di avversità. Gli antichi greci erano profondamente convinti della passività del sentimento amoroso: un dio infondeva loro la passione nel petto. Nessuna scelta. Nessun impegno successivo. Erano solo affari di Afrodite ed Eros. Loro entravano come granelli di polvere nei polmoni degli innamorati e lucidavano gli ingranaggi del cuore per farlo partire. Però gli dèi non esistono. Esistono le scelte. Le responsabilità. Amare è impegnativo: bisogna lavorare sulla propria natura bestiale e giorno dopo giorno dedicarsi strenuamente alla comprensione e alla condivisione. Prendere su di sé, dividere con: l' altro compare prepotentemente sulla scena, e si diventa cooprotagonisti della stessa rappresentazione. No, non è facile. No, non è cosa da tutti. La morte, quando ci passa accanto portando via qualcuno che è a noi prossimo, appare come una menzogna spergiurata: fingiamo bellamente non ci sia, ma in effetti sappiamo bene essere andata via da poco. La morte ha un odore, ma non è quello del sangue. L' odore del sangue è vita che esonda dalle vene, è vita al quadrato. È volontà di combattere, accettazione del rischio di farsi del male resistendo, perché chi si arrende o non parte per la guerra non lo butta il sangue, se lo tiene tutto in corpo, ignaro che seccherà e ugualmente andrà disperso, come un filo d' erba a mezzogiorno si piega e incenerisce nel campo. L' odore della morte è quello della terra bagnata. Lacrime, pioggia, saliva, urina e sperma la innaffiano, questa terra dove riposano i morti. Un surrogato della perdita in forma liquida, profeta di assenze totali ed eterne: dolore, freddo, rabbia, incontinenza, orgasmo, piccole riproduzioni in scala del morire vivendo. Brevi assaggi del nulla, prima dell' annientamento, che avviene con un rapido gesto di mano. Come quando siamo seccati da una mosca. O da una persona. E la mandiamo via. Succede così. Uno sventolare distratto e si spegne la fiamma. Fragile è il fuoco, nemmeno brucia se ci posi le dita. L' ardore giovanile, il miraggio, le passioni motrici della storia: un tremolìo debole di luce giallo arancio nella notte senza pause dell' universo in espansione.