Vettriano

Vettriano

domenica 25 settembre 2011

Bah.

Mi sento come il contenuto delle lettere d'amore a Lili Brick: banale e vuota.
Vivo in questa cittadina immersa nella spazzatura e nell'odore di benzina da vent'anni. Non conto più i giorni che si susseguono sul calendario. Quelle buffe crocette che segnavano il passare del tempo, e che scandivano attese e rimpianti, avvicinandosi e allontanandosi da particolari eventi gioiosi o nefasti che siano, non ci sono più, neanche nel mio cuore.
Potrei dire che ho finito i pennarelli, e che non ne ho voglia di comprarne altri, ché tanto non mi son mai serviti, neanche da piccola, perchè detesto e sono incapace nel disegno. In realtà non è così, non proprio, almeno.
Alla signora del quarto piano non piacciono i maglioni: detesta l'inverno, ed è contenta che questo caldo appiccicaticcio e sudicio continui ad affliggerci. Forse è vero, sono troppo egocentrica. O forse sono gli altri ad essere tremendamente odiosi e cinici. Il fatto è che uno al mattino si sveglia come sempre, scazzato ma riservato, silenzioso; insomma, senza alcuna voglia di riversare sugli altri il benchè minimo malessere. Quindi si alza dal letto impastato di sonno e sudore, liscia le lenzuola per bene, apre la finestra, va a lavarsi, pulisce tutto quello che deve essere pulito, e così via. E va bene, ok, va bene così, niente di nuovo. Però non è giusto, non è giusto che mentre tu taci e mantieni, gli altri vogliano sfogarsi su di te, provocandoti e avanzando illazioni che nascondono da profonda invidia e tremenda paura. Non è giusto che si venga considerati un burattino da dirigiere, nè un oggetto da posizionare su una mensola, la stessa, per sempre, nè, tantomeno, un cane.
Un cane ce l'avete ora, porco dio, perchè non mi lasciate in pace, dunque?
Bah. Buona domenica.

mercoledì 21 settembre 2011

Juego del revés.


6.

L'arroz de cabidela aveva un sapore raffinatissimo e un aspetto ripugnante, era servito in un grande vassoio di terracotta con un cucchiaio di legno, il sangue e il vino bolliti formavano un sugo denso e castano, i tavoli erano di marmo, fra una fila di botti e un bancone di zinco dominato dalla corpulenza del signor Tavares, a mezzanotte arrivava un fadista dall'aspetto macilento accompagnato da un vecchietto con la viola e da un distinto signore con la chitarra, cantava antichi fados fiochi e languidi, il signor Tavares spengeva le luci e accendeva le candele sulle mensole, gli avventori di passaggio se ne erano già andati, restavano solo gli affezionati, il locale si riempiva di fumo, a ogni finale c'era un applauso discreto e solenne, qualche voce chiedeva Amor é agua que corre, Travessa da Palma, Maria do Carmo era pallida, o forse era la luce delle candele, o forse aveva bevuto troppo, teneva lo sguardo fisso e le sue pupille erano grandi, la luce delle candele ci ballava dentro, mi sembrava più bella del solito, accendeva una sigaretta con fare trasognato, ora basta, diceva, andiamo via, saudade sì ma a basse dosi, è bene non farne indigestione, l'Alfama era semideserta, ci fermavamo al belvedere di Santa Luzia, c'era una pergola spessa di buganvillea, appoggiati al parapetto guardavamo le luci del Tago, Maria do Carmo diceva Lisbon revisited di Alvaro de Campos, una poesia nella quale una persona è alla stessa finestra della sua infanzia, ma non è più la stessa persona e non è più la stessa finestra, perché il tempo cambia uomini e cose, cominciavamo a scendere verso il mio albergo, lei mi prendeva la mano e mi diceva: senti, chissà cosa siamo, chissà dove siamo, chissà perché ci siamo, senti, viviamo questa vita come se fosse un revés, per esempio stanotte, tu devi pensare che sei me e che stai stringendo te fra le tue braccia, io penso di essere te che sto stringendo me fra le mie braccia.

(Antonio Tabucchi, Il gioco del rovescio.)