Vettriano

Vettriano

venerdì 25 luglio 2014

Intervista Matisklo!

Il link che riporto qui di seguito rimanda al blog della casa editrice Matisklo presso cui ho pubblicato la mia raccolta di poesie "Dell' assenza e della presenza". E' una breve intervista. Grazie per l' eventuale attenzione.

Saluti.


(Come se poi ci fosse qualcosa da dimenticare.)

Per quanto tempo si può vivere col cuore in gola? Un anno, due, dieci, trenta? Ci sono quelle certezze non verificate che mi tolgono il sonno, che mi scavano nella coscienza, producendo incubi di indescrivibile orrore. Tutto ciò che durante il giorno tento disperatamente di reprimere, impiegando tutte le mie energie per ricacciarlo indietro, per pestarlo, prendendolo a calci in testa per impedirgli di rianimarsi, durante la notte riemerge, danza allegramente sui resti del mio Io, calpestandolo più di quanto non sia già stato terreno di pubblico passaggio. E suona una musica triste, lontana, che proviene dalle terre lontane che tanto vorrei visitare, sopra quel vasto oceano più volte cantato, agognato, stretto in un unico abbraccio spirituale. Sopra quella melodia il male zampilla, cominciano a piangere le pareti dell' anima, e non è acqua, ma sangue misto ad acqua, e se bevo alle rive della mia angoscia avverto sulla lingua un sapore ferroso e quasi asettico, che avevo pregato di non sentire più, né dai palmi delle mie mani, né da alcun' altra parte del mio corpo. La memoria è un contenitore illogico di miserie: i ricordi sono come Erinni persecutrici, e sopportarne il peso diventa sempre più complicato. In passato però ho speso così tante parole per cantare il bello lì dove stava il marcio che adesso non ne ho più per disegnare il profilo di questo unico grande dolore ossessivo, il mostro informe di tutti i fallimenti possibili e impossibili, l' idea semplice di una sola morte annunciata ab origo.
Tutto questo è insonnia, tormento, un Prometeo legato alla spalliera del suo letto, al quale un fantasma mangia il cuore notte dopo notte. Senza che questo ricresca. Gelano gli specchi rivelando un' immagine strana, irriconoscibile. Non si possono consultare le fotografie. Queste sono solamente una conferma dell' inutilità di tutti gli sforzi esistenziali che un' anima può fare per darsi al mondo, una beffarda menzogna, un magma cocente di scherni gratuiti. Tutte le mie umiliazioni sono impresse nelle mura di questa casa, di questa stanza, di questa città. Ogni mia singola perdita ha provocato un foro dentro di me. Devo apparire come una specie di lenzuolo bucato, pieno di rattoppi, sottile, che ogni giorno di più scompare, si rende inutile.
E' la malinconia. Dello stato di grazia beota e incosciente in cui versavo pochi anni fa. Dove tutto pareva possibile, anche che i rabberci bastassero a coprire per una volta ancora il nostro letto.
Risvegli, strappi, fibre che d' improvviso diventano estranee a loro stesse, e appaiono come fili pendenti di marionette antiche. E qualcosa ancora li lega, dopotutto. Ma non lo sanno. Non lo sapranno mai. Perché non se lo diranno, e se si incroceranno, non si riconosceranno più: fragili hanno cercato di ricominciare, di incatenarsi a qualche altro cotone sottile, vanamente, perché quello che la vita adora dividere, l' abissale inconscio spasmodicamente continua a voler vedere unificato. E così, un altro strappo, fortissimo. Da un lato la freddezza dei giorni che corrono velocissimi a mettere distanza tra di noi, dall' altro il bruciore fastidioso e invalidante di una pira immortale, anelante vicinanza, ricongiungimento.
Ma siamo piccoli. Troppo piccoli e imperfetti. E questa è davvero l' unica nostalgia che ho. E che non riesco ad accettare, pur usando costantemente la ragione e seguendo pedissequamente le istruzioni per l' oblio.
(Come se poi ci fosse qualcosa da dimenticare.)

domenica 13 luglio 2014

A Modì.

Ieri ho dimenticato di farti gli auguri di buon compleanno. Qual è il giorno in cui ci siamo dimenticati quali sono le potenzialità dell’ essere umani, scegliendo di essere solo e soltanto animali, ammassi di carne in preda ai nostri più beceri istinti volgari? Non lo so. Ma l' incongruenza dell' esistere continua a sopravvivere, e ad essere evidente a qualcuno, nonostante tutto il mondo continui a dire che è normale. Ed io mi nutro della sua rappresentazione, che trova uno dei suoi momenti più alti e poetici nel modo che avevi di ficcare il vuoto nelle orbite dei tuoi soggetti. Quando si è artisti davvero, come lo eri tu, non si è perfetti, né integri, né coerenti: l' artista non è nessuna di queste tre cose, tuttavia sente. Sente la voce delle sirene, percepisce la verità, nonostante possa soltanto sfiorarla. E il contatto col vero provoca delle escoriazioni inguaribili nell’ anima. Dalla pelle che si sfalda stillano gocce di sangue, sperma e lacrime, per parafrasare Pavese. E’ con questi tre elementi che hai sempre dipinto, che hai sempre lasciato al mondo un messaggio di perfetta disarmonia. L’ artista sente, e ama. Non è l’ amore falsamente equilibrato, formalmente integerrimo, ipocritamente sempre cortese che tutti credono sia la formula dell’ eternità: è l’ amore sparato in faccia, gridato, desiderato, rinnegato, incarnato, possessivo, folle, pittoresco, patetico, ma profondamente, inequivocabilmente, indubbiamente autentico, per la sua Jeanne. Con tutto ciò che ne seguì.



"Questa notte e altre notti
verranno anche se
non sentiremo ancora cantar
ascolteremo la pioggia
bagnarci i colori
e mischiare i miei pensieri nei tuoi."