Vettriano

Vettriano

mercoledì 19 settembre 2012

Giornata tipo.

Credo che la palestra sia una tortura legalizzata e anche costosa.
Una tortura lussuosa.
E io ci sono finita dentro, in questo circolo vizioso del bello solo se sudato e sgrassato.
Ci sono finita dentro perchè a vent' anni suonati fare una rampa di scale mi faceva venire il fiatone e la pressione mi saliva a 200. Ci sono finita perché spero ancora che esista un metodo non miracoloso per guadagnare 10 centimetri in altezza e rendere esili le mie cosce compatte. Ma questo metodo non esiste e, ahimè, le autoreggenti non potranno MAI starmi bene. E io insisto. Ed è un'altra storia.
La prendo come un dovere questa storia della palestra, come una medicina amara insomma. Che poi vado lì, e cerco di fare tutto in fretta e furia per ridurre la sofferenza, ma mi ritrovo col fiato corto, i capelli appiccicati alla fronte e un tremore diffuso. Quindi, dopo 20 minuti di cyclette, una manciata di addominali e di altre robe assurde per glutei e cosce, vado a buttarmi sotto la doccia, spendendo altri 20 cent. dei miei risparmi. Lì mi insapono e mi guardo lo stesso centimetro di pancia, di fianchi e di interno coscia che ho da quando avevo 13 fottutissimi anni. Non sono mai cambiata di un grammo, non in maniera influente almeno. Sono sempre rimasta più o meno la stessa, sia che mangiassi come un porco, sia che mi nutrissi come un giovine augello.
E questo non capita solo a me, a quanto pare; difatti c'è gente che soffre in quella stanza orribile molto più di quanto faccia io, e questo lo deduco dal fatto che molte persone sono già lì quando arrivo e ci restano quando me ne vado. Pur rimanendo in sostanza sempre IDENTICI. Sudano, puzzano, e hanno sempre le stesse cosce e le stesse pance enormi.
Porca puttana, ma se le faranno due domande? O si divertono ad autoinfliggersi tutto questo dolore? Domanda da un milione di dollari...
In ogni caso, anche stasera ho buttato la mia dose quotidiana di sangue e sono uscita dalla doccia trionfante e con la testa che mi pulsava dal dolore. Ho cercato di dissolvere il sudore tra i capelli col phon e mi sono guardata nello spacchio, trovandomi come sempre ogni volta diversa. Penso che non mi conoscerò mai. Vedo nelle mie pose e nei miei profili alcuni volti sconosciuti, li riconosco nella loro diversità, metto il naso un pò più a destra e penso 'ecco, ecco, ora sono proprio lei', mi giro da un altro lato spalancando gli occhi e tirando su col naso e rifletto 'ora non c'è più, ecco che arriva qualcun altro', e così via.
E' sempre frustrante doversi guardare allo specchio se non si conosce la propria discendenza.
Poi sono uscita dalla palestra con la stessa canotta blu della Alcott con la quale durante la settimana dormo, mangio, esco, sto in casa, lavoro, e molto altro, e mi sono avviata verso casa costeggiando il Liceo Classico.
Le finestre serrate mi hanno strappato un sorriso e il mio pensiero è andato al libro di Starnone che sto divorando e al mio lavoro pomeridiano saltuario. Ho sorriso di nuovo e ho tentato di ricordare in quale giorno ho deciso che avrei voluto fare l' insegnante, ma non mi è venuto in mente. Probabilmente è stato un processo graduale, come avviene sempre per le grandi decisioni, uno sfumare di un pensiero in un altro fino al raggiungimento di una decisione compiuta, una consapevolezza come un' altra che mi porto dentro fin dall' origine e che pian piano è venuta fuori dal suo guscio. Forse è solo questo quello che chiamano destino.
Poi ho pensato a lui, che è lontano ma è sempre vicino, e al suo profilo perfetto anche se un pò ossuto. Al suo naso all' insù e alle sue labbra carnose. Al suo pomo d'adamo e ai suoi polsi stretti e nodosi. Ho pensato a me attraverso di lui e mi sono pensata e vista bellissima. Poi l'ho chiamato e gli ho parlato dolcemente, cercando di infilare tutto l'amore possibile in un paio di frasi di circostanza. Ogni giorno mi accorgo di provare per quest' uomo un amore crescente, e forse anche questa è una consapevolezza congenita che vien fuori gradualmente, e se così fosse allora ci sarebbe di che gioire, il destino mi ha messo in cuore il seme di questo amore, che grande dono mi ha fatto la vita.

Ora sto per concludere questo post, e non so neanche perché l' ho scritto. Probabilmente ho nostalgia del genere autobiografico.


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