Ci sono molti modi di
volere bene, disse, mentre poggiava la testa
sul suo petto, questo è un modo, e con le mani raccolse una sua
mano, tenendola al caldo, in una rete di dita, e questo è un altro
modo, e lo guardò, con aria impassibile, ma feroce. Io voglio bene
soprattutto ai tuoi silenzi, perché suonano una musica muta che
riesco inspiegabilmente a comprendere. Dalla conoscenza profonda del
buio viene la sicurezza presuntuosa di muoversi a tentoni, quante
volte ho sbattuto la testa, il braccio, una gamba contro di te,
mentre nell’ oscurità ti cercavo, quante volte, neanche lo sai. Ci
sono come vedi tutti questi modi, e perché tu tiri fuori il peggio
di me, che forse è anche il meglio, le chiese, non lo so, rispose,
forse perché la linea di confine tra il bello e il brutto è fin
troppo sottile quando non si usano le parole ma si usa il corpo, io
so che hai voluto punire qualcuno attraverso di me, e so anche chi, e
so anche perché, il tuo è un gioco evidente, ma è bello giocare
con te, siamo due infanzie perdute per sempre, e io sono una vittima
perfetta, a me quello che hai fatto è piaciuto, ho provato un
piacere quasi catartico, spiegati meglio, le disse, perché io non
riconosco il mostro che fai emergere, non saprei spiegartelo con
altre parole, in fondo non è neanche lecito che io ne parli, per noi
hanno parlato il modo in cui mi tenevi ferma per il collo, il modo in
cui mi tiravi per i capelli, la forza con cui mi hai posseduta, e non
è forse un male, non è forse una sconcezza priva di qualunque
merito che io ti abbia usato per tirarmi via la brutalità che sento
dentro, è stato come se avessi detto e fatto tutto quello che vorrei
dire e fare a lei, forse a mia madre, e forse anche a te, si, anche a
te, non credi che debba essere vietata una cosa simile, come può
esserci affetto in tutto questo, io non mi riconosco più.
Lei non rispose, ma
sorrise, semplicemente, e si strinse al suo petto ancora più forte,
come fosse una bambina impaurita al sicuro tra le braccia del suo
sconosciuto padre.
Vedi, ci sono cose nella
vita che non si possono spiegare, se codifichi tutto diventi un
imperdonabile assassino, l’ indecifrabile è sempre in agguato e
bisogna lasciarlo scorrere, vedi, ci sono delle convergenze di anime
che vanno, vengono, si trasformano, mutano, poi tornano all’ atto
originario, così, per ricordarci ogni tanto da dov’è che veniamo,
nel caso ce ne dimenticassimo, è nostro dovere che tutto scorra,
intatto, puro, nulla di ciò che è istinto è reale, ma neanche
menzogna, è un lasciare per un attimo le briglie del pensiero, dove
ci siamo invischiati un giorno lontano di tanti anni fa senza
volerlo, senza saperlo, io so tutto e niente di te, ho osservato da
lontano la tua storia, parlandoti della mia per non creare
imbarazzanti silenzi, ma era tutta una grossa farsa, le mie infinite
narrazioni erano una cornice fantoccio, nulla di ciò che ti ho
descritto è davvero importante quando ti guardo negli occhi, perché
è allora che mi ricordo il caos primordiale da cui tutti veniamo e
dove tutti torneremo, è come se mi spingessi, nuda, di fronte a uno
specchio, ricordandomi nello stesso tempo tutti i miei limiti e tutte
le mie dolcezze, e io ho terrore di questa cruda verità animale, e
vorrei fuggire, mi divincolo dalla tua stretta, ma pur fuggendo è
tardi, perché ciò che avrei dovuto vedere l’ho visto, e mi ha già
sconvolto.
E tutto è come agire nel
buio, sotto la nostra coscienza vi è uno strato di catrame, dentro
quello strato spesso io vado a conficcarmi come una scheggia, mi
spiace se ti creo fastidio, una specie di puntura lieve, si scusò
lei, non importa, disse lui, proprio niente importa, già, rispose
lei, proprio niente, non ho che un nulla in questo ventre, soltanto
il freddo e il vuoto che hai lasciato dopo un fuoco rigonfio, perché
così è la vita, si perde e si riacquista, amore dalle ceneri di un
amore precedente, ciclicità assordanti e noiose, nelle quali veniamo
catapultati più o meno consapevolmente, e quando accade qualcosa di
inatteso, quando qualcuno ci mescola le carte davanti agli occhi, e
noi abbiamo le mani legate, allora scatta il terrore, il terrore
della perdita, più che della perdita della persona della perdita del
controllo che avevamo su quella persona, una sorta di certezza
tiepida che riscaldava quanto basta le notti d’ inverno. Si, è
proprio questo sapere tutto ma non poter far nulla per evitarlo, l’
essere trascinati dall’ ovvietà della vita, che mi fa pulsare le
tempie, ammise lui, e allora è tutto come dovrebbe essere, rispose
lei sorridendo nell’ ombra, ogni volta che ti sei spinto dentro di
me stasera hai ricordato a te stesso quanta rabbia inespressa ti
brucia lo spirito, in ogni carezza mancata, in ogni bacio che mi hai
rifiutato, e così ogni volta che mi hai tenuto la testa, mentre ero
indifesa e girata di spalle, io e te non abbiamo fatto altro che
parlare, dirci le più atroci verità senza emettere che suoni
indistinti e soffocati, e io ti ho ascoltato, eccome se ti ho
ascoltato, il tuo battere contro il fondo per tentare una vita di
fuga dalla vita, non esiste nessuna via di fuga, il limite ultimo sta
in fondo all’ utero, è da lì che siamo venuti tutti fuori ed è
fino a lì che tutti possiamo ritornare. Sempre, come l’ onda
infranta sulla spiaggia che assorbe, ci dissolviamo sbattendo contro
i nostri terrori inconsci, indifesi fantasmi della nostra stessa
mente siamo, e siamo anche anime perse, e quando andiamo via da un
luogo ci sembra a maggior ragione di esserne prigionieri, è una cosa
che non capirò mai, le sussurrò all’ orecchio, forse le radici
non sono soltanto diramazioni alternative delle nostre vene, chi può
mai saperlo, è ovvio però che non abbiamo colpe, perché tutti
siamo immacolati e tutti siamo carnefici spietati, a nostro modo,
quello che fa la differenza, già, qualcosa che farà la differenza
dovrà pur esserci, e si fermò a pensare, lui lo capì perché lei
fece una lunga pausa di senso, e poi riprese a piè sospinto, forse
quello che cambia le cose, o almeno sembra che le cambi, almeno per
un paio d' ore, sono gli occhi, come ti dicevo prima in altri
termini, o meglio quello che nascondono: ci sono veli di pupille che
riesco facilmente ad alzare senza nemmeno farmi scoprire, e allora
vedo un mondo diverso, e mi ci tuffo, concedendoti una crudeltà, e
godendone.
Questo cosa vuol dire,
chiese interrogativo lui, non lo so, disse lei, non so nulla di
nulla, le parole le pensa qualcos’ altro al posto della mia mente,
forse sono gli umori a parlare per me, che ancora mi scorrono tra le
gambe, la marea lentamente si ritira dopo la piena del fiume, la mia
testa è un uovo svuotato adesso, dalla pancia mi salgono alla gola
incastri di sillabe, stai parlando col mio sesso, forse, e non con
me, adesso, io non voglio parlare con nessuno, affermò perentorio
lui, proprio con nessuno, neanche con me stesso, e non c’è bisogno
che tu lo faccia, lo rassicurò lei, perché a me è sufficiente
parlare con la tua ombra, e cosa diresti alla mia ombra, chiese, cosa
le direi, non lo so, forse esattamente quello che le sto dicendo,
conosci te stesso, ama chi ti ha messo al mondo, non creare sempre
barriere così spesse tra te e le persone, tra te e le cose, rischi
di restare isolato dalla realtà contingente, di guardarla sempre con
occhio esterno, troppo esterno, a volte è necessario sporcarsi le
mani, di fango, di lacrime, di miele, e a queste parole una lacrima
cadde dal soffitto sul suo volto, scivolò dalla guancia di lei sulla
spalla di lui, e morì tra le lenzuola umide, cadendovi
rovinosamente, così come cadde la notte, d' un colpo, fredda, come
uno sparo.
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