Vettriano

Vettriano

domenica 29 settembre 2013

ci sono molti modi.


Ci sono molti modi di volere bene, disse, mentre poggiava la testa sul suo petto, questo è un modo, e con le mani raccolse una sua mano, tenendola al caldo, in una rete di dita, e questo è un altro modo, e lo guardò, con aria impassibile, ma feroce. Io voglio bene soprattutto ai tuoi silenzi, perché suonano una musica muta che riesco inspiegabilmente a comprendere. Dalla conoscenza profonda del buio viene la sicurezza presuntuosa di muoversi a tentoni, quante volte ho sbattuto la testa, il braccio, una gamba contro di te, mentre nell’ oscurità ti cercavo, quante volte, neanche lo sai. Ci sono come vedi tutti questi modi, e perché tu tiri fuori il peggio di me, che forse è anche il meglio, le chiese, non lo so, rispose, forse perché la linea di confine tra il bello e il brutto è fin troppo sottile quando non si usano le parole ma si usa il corpo, io so che hai voluto punire qualcuno attraverso di me, e so anche chi, e so anche perché, il tuo è un gioco evidente, ma è bello giocare con te, siamo due infanzie perdute per sempre, e io sono una vittima perfetta, a me quello che hai fatto è piaciuto, ho provato un piacere quasi catartico, spiegati meglio, le disse, perché io non riconosco il mostro che fai emergere, non saprei spiegartelo con altre parole, in fondo non è neanche lecito che io ne parli, per noi hanno parlato il modo in cui mi tenevi ferma per il collo, il modo in cui mi tiravi per i capelli, la forza con cui mi hai posseduta, e non è forse un male, non è forse una sconcezza priva di qualunque merito che io ti abbia usato per tirarmi via la brutalità che sento dentro, è stato come se avessi detto e fatto tutto quello che vorrei dire e fare a lei, forse a mia madre, e forse anche a te, si, anche a te, non credi che debba essere vietata una cosa simile, come può esserci affetto in tutto questo, io non mi riconosco più.

Lei non rispose, ma sorrise, semplicemente, e si strinse al suo petto ancora più forte, come fosse una bambina impaurita al sicuro tra le braccia del suo sconosciuto padre.

Vedi, ci sono cose nella vita che non si possono spiegare, se codifichi tutto diventi un imperdonabile assassino, l’ indecifrabile è sempre in agguato e bisogna lasciarlo scorrere, vedi, ci sono delle convergenze di anime che vanno, vengono, si trasformano, mutano, poi tornano all’ atto originario, così, per ricordarci ogni tanto da dov’è che veniamo, nel caso ce ne dimenticassimo, è nostro dovere che tutto scorra, intatto, puro, nulla di ciò che è istinto è reale, ma neanche menzogna, è un lasciare per un attimo le briglie del pensiero, dove ci siamo invischiati un giorno lontano di tanti anni fa senza volerlo, senza saperlo, io so tutto e niente di te, ho osservato da lontano la tua storia, parlandoti della mia per non creare imbarazzanti silenzi, ma era tutta una grossa farsa, le mie infinite narrazioni erano una cornice fantoccio, nulla di ciò che ti ho descritto è davvero importante quando ti guardo negli occhi, perché è allora che mi ricordo il caos primordiale da cui tutti veniamo e dove tutti torneremo, è come se mi spingessi, nuda, di fronte a uno specchio, ricordandomi nello stesso tempo tutti i miei limiti e tutte le mie dolcezze, e io ho terrore di questa cruda verità animale, e vorrei fuggire, mi divincolo dalla tua stretta, ma pur fuggendo è tardi, perché ciò che avrei dovuto vedere l’ho visto, e mi ha già sconvolto.

E tutto è come agire nel buio, sotto la nostra coscienza vi è uno strato di catrame, dentro quello strato spesso io vado a conficcarmi come una scheggia, mi spiace se ti creo fastidio, una specie di puntura lieve, si scusò lei, non importa, disse lui, proprio niente importa, già, rispose lei, proprio niente, non ho che un nulla in questo ventre, soltanto il freddo e il vuoto che hai lasciato dopo un fuoco rigonfio, perché così è la vita, si perde e si riacquista, amore dalle ceneri di un amore precedente, ciclicità assordanti e noiose, nelle quali veniamo catapultati più o meno consapevolmente, e quando accade qualcosa di inatteso, quando qualcuno ci mescola le carte davanti agli occhi, e noi abbiamo le mani legate, allora scatta il terrore, il terrore della perdita, più che della perdita della persona della perdita del controllo che avevamo su quella persona, una sorta di certezza tiepida che riscaldava quanto basta le notti d’ inverno. Si, è proprio questo sapere tutto ma non poter far nulla per evitarlo, l’ essere trascinati dall’ ovvietà della vita, che mi fa pulsare le tempie, ammise lui, e allora è tutto come dovrebbe essere, rispose lei sorridendo nell’ ombra, ogni volta che ti sei spinto dentro di me stasera hai ricordato a te stesso quanta rabbia inespressa ti brucia lo spirito, in ogni carezza mancata, in ogni bacio che mi hai rifiutato, e così ogni volta che mi hai tenuto la testa, mentre ero indifesa e girata di spalle, io e te non abbiamo fatto altro che parlare, dirci le più atroci verità senza emettere che suoni indistinti e soffocati, e io ti ho ascoltato, eccome se ti ho ascoltato, il tuo battere contro il fondo per tentare una vita di fuga dalla vita, non esiste nessuna via di fuga, il limite ultimo sta in fondo all’ utero, è da lì che siamo venuti tutti fuori ed è fino a lì che tutti possiamo ritornare. Sempre, come l’ onda infranta sulla spiaggia che assorbe, ci dissolviamo sbattendo contro i nostri terrori inconsci, indifesi fantasmi della nostra stessa mente siamo, e siamo anche anime perse, e quando andiamo via da un luogo ci sembra a maggior ragione di esserne prigionieri, è una cosa che non capirò mai, le sussurrò all’ orecchio, forse le radici non sono soltanto diramazioni alternative delle nostre vene, chi può mai saperlo, è ovvio però che non abbiamo colpe, perché tutti siamo immacolati e tutti siamo carnefici spietati, a nostro modo, quello che fa la differenza, già, qualcosa che farà la differenza dovrà pur esserci, e si fermò a pensare, lui lo capì perché lei fece una lunga pausa di senso, e poi riprese a piè sospinto, forse quello che cambia le cose, o almeno sembra che le cambi, almeno per un paio d' ore, sono gli occhi, come ti dicevo prima in altri termini, o meglio quello che nascondono: ci sono veli di pupille che riesco facilmente ad alzare senza nemmeno farmi scoprire, e allora vedo un mondo diverso, e mi ci tuffo, concedendoti una crudeltà, e godendone.

Questo cosa vuol dire, chiese interrogativo lui, non lo so, disse lei, non so nulla di nulla, le parole le pensa qualcos’ altro al posto della mia mente, forse sono gli umori a parlare per me, che ancora mi scorrono tra le gambe, la marea lentamente si ritira dopo la piena del fiume, la mia testa è un uovo svuotato adesso, dalla pancia mi salgono alla gola incastri di sillabe, stai parlando col mio sesso, forse, e non con me, adesso, io non voglio parlare con nessuno, affermò perentorio lui, proprio con nessuno, neanche con me stesso, e non c’è bisogno che tu lo faccia, lo rassicurò lei, perché a me è sufficiente parlare con la tua ombra, e cosa diresti alla mia ombra, chiese, cosa le direi, non lo so, forse esattamente quello che le sto dicendo, conosci te stesso, ama chi ti ha messo al mondo, non creare sempre barriere così spesse tra te e le persone, tra te e le cose, rischi di restare isolato dalla realtà contingente, di guardarla sempre con occhio esterno, troppo esterno, a volte è necessario sporcarsi le mani, di fango, di lacrime, di miele, e a queste parole una lacrima cadde dal soffitto sul suo volto, scivolò dalla guancia di lei sulla spalla di lui, e morì tra le lenzuola umide, cadendovi rovinosamente, così come cadde la notte, d' un colpo, fredda, come uno sparo.

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