Noi siamo sul confine di questa
disillusione che chiamano passaggio all' età adulta, e ce ne
restiamo sulla soglia, senza entrarvi, perché per fortuna non
sembriamo esserne obbligati più come un tempo dalle norme e dalle
scadenze che l' uomo aveva creato per autoregolarsi in modo
artificiale.
Noi siamo nel ciclone delle delusioni,
noi siamo entrati nel mondo reale, dove ogni cosa non può essere
come la pensiamo, perché non siamo capaci in quanto essere
imperfetti di creare il migliore dei mondi possibili, ma tutto al più
ci è concesso vivere nel mondo che ci tocca.
E allora che fare, se le nostre
fantasie, le nostre aspirazioni, cozzano contro una realtà che non
sembra affatto rispondere ad esse?
Non possiamo cogliere la verità
assoluta dal momento che non esistono le strade migliori e quelle
peggiori: non è come credevamo da bambini, non esistono poi confini
così netti tra il bene e il male ed il giusto e il sbagliato; molte volte il fascino dell' oltre limite ci cattura, ci intrappola, e poi però ci frega, lasciandoci
soli con le nostre mille domande alle quali mai saremo in grado di
rispondere, perché la collettività non è un insieme di immagini
singole uguali a se stesse che formano la medesima unica immagine
ingigantita, la collettività è l' effetto ottico di un insieme
molteplice e tremendamente, atrocemente individuale e soggettivo. E
una volta che questo viene appurato, una volta che si sfalda la
prospettiva comoda del “tanto questo è sbagliato e questo no,
quindi questo devo farlo e quest' altro no”, restiamo noi soli e lo
specchio del nostro Io, al quale cominciamo, impauriti, a chiedere:
cos'è che vuoi? Cos'è che per te val la pena? Cosa per te è il
bene e cosa è il male?
Ma chi è che risponde davvero? Un
riflesso, un' ombra di noi stessi, imbevuta delle regole che, pur
zoppicanti, ancora reggono le redini dell' ordine sociale e
collettivo, o un essere pensante autonomo, spoglio da ogni
pregiudizio e decontestualizzato dal circostante? E quale delle due voci
sarebbe meglio ascoltare, e perché l' una dovrebbe essere meno
attendibile dell' altra? In base, a loro volta, di quale giudizio
morale? E ponendoci interrogativi del genere potremmo risalire all'
infinito, eppure prima o poi ci troveremmo sulla punta estrema (che
affaccia sull' abisso) di tutti i nostri dubbi e le nostre
incertezze, ossia sull' impossibile determinazione del senso dell'
esistenza umana e del suo creatore.
La serenità va dunque scelta, in
quanto va scelta una strada da imboccare, per gradiente, per
comodità, per qualunque motivo, mentre la rabbia è istinto, e in
quanto tale la sua incontrollabilità ci sembra forza, ci sembra
autorevolezza, ma è solo viltà, è solo abbandonarsi alla
superficie increspata delle onde che si muovono a causa della brezza
e non per loro consapevole scelta.
E allora d' improvviso, anche se hai
poco più di vent' anni, ti coglie quella sensazione di stanchezza,
di mollezza, di rassegnazione profonda, e quasi ti senti vecchio, più
vecchio del mondo, perché hai sentito, tutto insieme, in una notte
sola, il peso dell' insensatezza dell' universo, e ora sei così
sazio di nulla e di incerto che ti viene solamente voglia di restare
immobile e di guardare Dio mentre monta e smonta i giorni quasi
fossero un gioco per bambini. E allora ti affacci al balcone, che è
il diretto prolungamento di una casa dove fingiamo di essere al
sicuro, che è il ponte che unisce il 'di fuori' con il 'di dentro',
ma del 'di fuori' ti restituisce solamente una facciata d' insieme,
che puoi guardare standotene in alto, lontano, senza parteciparvi in
modo diretto. E respiri l' aria della sera, e bevi il tè caldo, e io
passo dalla cucina e ti vedo; sei contorno di una figura che occupa
esattamente il posto che dovrebbe, come in una fotografia
perfettamente calibrata nei colori e nelle prospettive, come un
dipinto surrealista e realista allo stesso tempo, anacronistico così
come ti senti dentro, ed esco fuori anche io, e ti cingo le spalle,
da dietro, e provo a stringerti per saperti vivo, per sentire il
calore del tuo corpo, il tuo sangue sottopelle che fa ancora il suo
dovere, e m' immergo nella tua apnea, e ti sussurro che c'è tempo,
c'è ancora tempo, ma quanto più c'è tempo tanto più è tardi, la
vita è un gioco del rovescio, è un patto segreto degli opposti che
si beffano di noi, sempre, fino alla fine, fino a quando poi ci viene
alla bocca assieme all' ultimo respiro una verità incontrovertibile,
e cioè che l' amore è il solo contrario della morte.
Custodiscila, la tua diversità,
coccola le tue nevrosi, educale come i tuoi figli prediletti, e non
raccontarti bugie, mai, perché la differenza è l' unico bene che ci
resta, perché il bene e il male che ci affliggono, che ci assalgono,
che sembrano provenire da un demone esterno oscuro e che invece
crescono, si nutrono e maturano solo in noi, fanno di noi quello che
siamo, ed è proprio in quello che siamo che esiste la scelta, che
esiste il soggetto, che l' Io si dipana, si dispiega, ci suggerisce
quello di cui ha piacere e quello di cui ha orrore: loro sono la
nostra prima verità.
Il tribunale astratto della coscienza
non è altro che un teatro di partecipazioni all' etica di gruppo
travestito male, poiché se per coscienza intendiamo il senso di
inadeguatezza provato nell' andare contro la corrente della massa,
allora no, non dobbiamo essere schiavi della nostra coscienza, non
dobbiamo essere schiavi di nulla, neanche di noi stessi e
della nostra stessa inattività. Perché sotto le spoglie del nostro
voler restare immobili per un giorno o per sempre, si nasconde ben
altro che una libera scelta arbitrale, catene molto più pesanti del
senso comune ci tengono legati nelle prigioni dell' anima, e sono
paure delle conseguenze delle nostre scelte, e sono timori di
riuscire male, di sapersi star male, star peggio, e sono fantasmi che
assillano la mente e le impediscono il sonno; ma l' alba ci insegna
che ogni notte si esaurisce nel giro di poche ore, così come lo
stesso giorno, d'altra parte, lascia subito spazio ad una nuova
notte, e nell' alternarsi incessante delle quotidianità sta la
chiave di tutto il castello al quale non crediamo di avere accesso,
poiché ogni azione (e anche ogni inazione, a suo modo, perché non
si annullano gli opposti neanche nell' immobilità) provoca reazioni
a tratti positive, che paiono darci ragione, rafforzare le nostre
tesi, renderci autorevoli agli occhi del 'di fuori', a tratti
profondamente negative, che ci mettono di fronte ad una evidente
inadeguatezza dello stare al mondo, poiché siamo tutti adeguati e
tutti inadeguati allo stesso modo, poiché siamo tutti vivi per caso
e moriremo tutti per caso, perché tutti siamo felici in un solo
momento e soffriamo da cani il giorno dopo, o il giorno stesso, e
ogni tentativo sciocco di tenere fermo il pendolo solamente da un
lato ci porterà via tutte le poche forze che abbiamo in corpo.
Bisogna tuttavia
sapersi fermare, perché è necessario anche questo: quelli che
condannano l' immobilità fanno del qualunquismo e non sono connessi
con la realtà atroce delle cose. Bisogna sapersi fermare, attendere,
ingannare il tempo, sentirselo scorrere addosso come acqua fredda (ma
non troppo). Perché la serenità passa attraverso l'inazione:
sedersi senza avere l' affanno di fare cose che non rispondono alla
nostra più intima volontà (ma alla volontà e al piacere altrui),
senza dovercisi sentire responsabili se non si sceglie di esserlo. È
nel silenzio più assoluto e più rombante del cielo notturno che
emergeranno dal fondale sabbioso le prime stelle. È potendo
ascoltarci, è potendo godere di un abbraccio tacendo, è nella
scintilla della completezza di un momento nel quale sentiamo di non
aver bisogno di nient' altro, è lì il germe della nostra felicità,
è lì il feto del nostro Io, perché è lì che siamo noi, è dove
noi siamo che siamo felici, è dove ci ritroveremo, a sera, dopo una
giornata di chiasso e di gente inutile, nel calore della nostra
dimora, che potremo essere sereni, lì è dove Io e mondo coincidono,
dove soggetto e oggetto si ricostituiscono, si rianimano, tornano a
stringere patti sinceri alla luce del sole, e pian piano ci escono
dagli occhi, dalle labbra, dalle mani, per costruire, per lasciare
tracce effimere (ma testimoni del nostro aver vissuto davvero) nel
giorno che fugge del nostro passaggio inevitabile su questa terra.
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