Vettriano

Vettriano

lunedì 28 ottobre 2013

Patior.

È la pazienza che mi manca, il patire. È la pazienza di invecchiare, la pazienza di avere pazienza, che significa poi soffrire, ed è strada univoca verso la verità, per chi la ama, poiché chi vuol bene alla verità sempre e per sempre è disposto a soffrire, ogni giorno soffre con dolore, con pazienza, chiudendo gli occhi, e attendendo quella carezza di madre e di amante che arriverà, prima o poi, da un luogo che neanche sapevamo dove fosse, ma nel frattempo, e anche dopo, nello spazio tra una dolcezza reale e l' altra, che sembra infinito eppure necessario per tendere bene l' arco del piacere e far sì che scocchi una freccia sola, decisa, dritta al cuore proteso, bisogna comunque avere pazienza, e usare il tempo della mancanza per coltivare ancora altra pazienza, che non è mai abbastanza, e farsi bastare un pasto caldo e frugale, in una sera d' autunno.
Guardare, bisogna guardare e vedere e non vedere, allo stesso tempo, e sapere, e voler non sapere, come la storia si dispiega e si rivela a noi lungo i corrimani delle case agguantate dal vento d' ottobre lungo la strada stretta che porta al mare. I mattoni delle loro mura sono mattoni eppure non lo sono, il gioco della rivelazione degli opposti ci mostra una realtà da toccare e da sentire, dura se ci battiamo la testa, eppure ce ne lascia intendere anche e sempre un' altra, intangibile, non ricreabile attraverso gli strumenti di cui disponiamo, e che tuttavia esiste ed è come una domanda oracolare (e non una risposta, che non c'è, quasi mai, almeno) sulla natura del bene e del male. E con le nostre braccia frughiamo tra le cose alla ricerca disperata di una norma, ma vedi, la pazienza è l' approdo, non il porto sicuro: lì è dove sarebbe il bene che ti chiedi, che mi chiedo. Vedo il pontile, le barche arenate come cadaveri profanati sulla riva, una luce lontana che ci isola dall' universo altro ricordandoci le tenebre in cui siamo immersi; e questo è il porto sicuro, questo il bene, non il mare di petrolio leggero che veste la terra, non il cielo privo stasera di stelle, non l' arbusto che copre il segreto, ma queste tue braccia che cingono alle mie spalle quel che resta immacolato del mio corpo: un fianco, qualche costola, il pallido riflesso rovesciato dei nostri volti che mi incontra sullo specchio dell' acqua immobile.
Pazienza, bisogna avere pazienza, e ascoltare in silenzio la voce del sogno: ci parla di timori e di morte, e ci tremano in bocca le labbra, di brevi sospiri intrecciate. Dov'è la paura è lì che siamo, tra i granelli di sabbia che sono miliardi di corpuscoli di niente, ma siamo anche dove ci pareva che dovesse suonare quella sirena sull' orizzonte che la nave copre, e dove speravamo che quell' ancora venisse slegata, e lasciata conficcare al suolo, al largo delle nostre speranze, dopo aver a lungo navigato errando e pure annegato, senza fine e senza meta alcuna, prima di adesso. Perché il mondo degli eroi non ci appartiene, e giro il viso dalla parte opposta al suo simulacro: lascio che brillino le luci divine in un ipotetico aldilà di cui non voglio occuparmi, e oggi mi faccio uomo, e sono umana , così come tu lo sei, senza provarne vergogna alcuna; tra le tue parole leggo una forma che mi conforta, un' accettazione placida e saggia della miseria, e una confidenza della carne che passa, imperfetta e preziosa, perché tanto mortale da dover schivare anche il più lieve soffio di vento. Tutta la sera ci piomba sul capo e senza anelare all' eterno sediamo stanchi dietro le nostre finestre; è trascorsa un' altra giornata, ed è una spossatezza che quasi ci coccola; è schiaffo e carezza, è crepuscolo che si piega a nuova aurora, ed io non so mai stata così felice di non essere beata come un dio. Anticipa la pioggia uno scarto dei sensi, e nell' incertezza dell' accordo muto il mio spirito pensoso si fa d' un tratto desiderio, ed irrompe impetuoso portandosi via tutti gli argini mai costruiti del mio orgoglio: smodato e ancestrale il richiamo violento della luna piena mi riporta ad un lido soltanto, e spariscono le nubi dei tormenti indifferenti, e tutto è niente e siamo così di nuovo meravigliosamente soli nella notte, privi di linguaggio, privi di ragione; si cercano le viscere nostre e ci fanno animali nella speculare immagine di una corsa affannosa verso l' Ignoto, senza l' ingombro polveroso del passato e senza l' alito penoso del futuro, senza occhi e senza freno, solo di mani, solo di mani siamo fatti, e di miele che scorre, e di pazienza che nutre le voglie della vita.
 
 

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