" E' così triste vivere quando si è infelici , non è così , Fernandinho ? Non vale la pena vivere . "
Vettriano
lunedì 1 dicembre 2014
Fernando Pessoa, in memoria.
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martedì 18 novembre 2014
La libertà di non studiare.
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lunedì 17 novembre 2014
tramontibeneventani.
una vecchia rockstar
sorridente
infelice
che non dice mai
mai niente
della sua solitudine
te la leggo negli occhi
gli stessi occhi che
a volte piangono
non sanno neanche perché.
martedì 4 novembre 2014
3-11-14
Ascolto con devozione il silenzio della casa. È un non-detto parecchio denso, un avvicendarsi di spazi atmosferici cavi, saturati da un numero in crescendo di notti insonni. Mi specchio nel dipinto di Atalanta e vedo una giovane donna inquieta, con un profilo severo, e un' età indefinibile e misteriosa. Nei suoi occhi ancora l' altare del tempio di Cibele e quel sacrificio incompiuto. Sulla scrivania carte, punte di matita, versi pallidi di mina inadeguata. Una consistente quantità di vaneggiamenti: le visioni si alternano di giorno alle profezie nefaste, un accalcarsi di presagi fantoccio che ci prendono in giro con una vergognosa facilità. Atalanta mia. Hai raccolto le mie più audaci preghiere. Letto le mie righe più appassionate, le mie confessioni rinnegate a costo di lacrime segrete. Una esondazione del cuore lasciò spazio ad una aridità di paranoie. Tu che hai le spalle appena scoperte dal peplo, tu spettatrice delle mie più spregevoli bassezze, sempre comprensiva della bestialità umana, attenta alle cose che sono state, risoluta nel tenere dischiuse per sempre le labbra per il tuo Melanione. I brividi rendono difficoltosa la messa a fuoco di alcuni dettagli, e così la grande onda della smania si porta via ogni bontà rivelatrice degli ultimi giorni. Arriverà ugualmente la fine, ed io non sarò ancora sazia, mi troverà con le falangi pronte, pulite, con i palmi piagati dallo sforzo dell' ancorarsi alla terra ruvida, con la saliva in abbondanza, miele in perenne attesa di migrare in altra bocca di fiore, con un solo inestinguibile fuoco nel cuore. Vertigine dell' essere quel che sono e non altro, infinita delega dei sentimenti: il desiderio del vino, della poesia, del letto. E poi delle rose, e dei girasoli. Di una stanza senza luce, mondata dal pulviscolo solare, abitata da mani forti. Fonte di ogni altro genere di vita, al di là di quella finestra, mi sei cara e sconosciuta: qui solamente acqua che taglia e disinfetta, poca cosa, si ci cura da soli. Il male sta tutto nella punta del dardo di Eros, ed io stoltamente continuo ad immolargli quel ferro vuoto all' interno. E sto qui, schifosamente supina, piegata con la schiena, a testa bassa sul niente, senza la forza di raggiungere il calore di una coperta. Tutte le azioni ordinarie oggi mi sembrano insostenibili perché umane. Geleró su questa sedia facendomi odiare per tutte queste vanesie fragilità: fossi più simpatica, più bella, più solare, più fiduciosa. Ma sono ciò che mi detta un qualche caso illogico ora dopo ora, gridandomi in testa. E vivo col delirio e sogno, o forse non sogno più. Pallida attendo pensieri ausiliari, mentre perdo battaglia e sanguino, io sola in mezzo al campo, senza avversario.
lunedì 13 ottobre 2014
'La morte è la curva della strada, / morire è solo non essere visto' .
La consapevolezza della morte reca con sé una profonda sete di vita. Per tale ragione, anche se conduciamo un' esistenza mediocre, apatica, larvale, sentiamo di voler esserci a tutti i costi e il più a lungo possibile quando qualcuno se ne va. Il prossimo potresti essere tu. Potrei essere io. E tra il nulla eterno e la capacità di pensare un Io sbiadito, sempre meglio la seconda. Ce la meritiamo la terra? Accade. Uno spermatozoo coraggioso. O uno solamente più fortunato. Nasciamo. Non conosciamo che i pochi contenitori vuoti di un' esperienza sensibile fallibile, e se ci guardiamo dentro, pozzi neri di imperfezioni luride. Un ricettacolo di vizi e menzogne. Sotto lo stesso cielo. Poi ci sono le leggi. Che regolano gli omicidi e li prevengono. Perché l' essere umano è pavido. Poi c'è la letteratura. Il vezzo dei disgraziati che, più sfortunati degli altri, vengono al mondo con una capacità di comprensione eccessiva e hanno necessariamente bisogno di una consolazione ritmica. Su questi campi di infertili squallori s' innesta poi la famosa ginestra, che chiamo Amore: sentimento di nobili intenti, codificato in maniera tale da sembrare universale e salvifico, porto sicuro contro ogni tipo di avversità. Gli antichi greci erano profondamente convinti della passività del sentimento amoroso: un dio infondeva loro la passione nel petto. Nessuna scelta. Nessun impegno successivo. Erano solo affari di Afrodite ed Eros. Loro entravano come granelli di polvere nei polmoni degli innamorati e lucidavano gli ingranaggi del cuore per farlo partire. Però gli dèi non esistono. Esistono le scelte. Le responsabilità. Amare è impegnativo: bisogna lavorare sulla propria natura bestiale e giorno dopo giorno dedicarsi strenuamente alla comprensione e alla condivisione. Prendere su di sé, dividere con: l' altro compare prepotentemente sulla scena, e si diventa cooprotagonisti della stessa rappresentazione. No, non è facile. No, non è cosa da tutti. La morte, quando ci passa accanto portando via qualcuno che è a noi prossimo, appare come una menzogna spergiurata: fingiamo bellamente non ci sia, ma in effetti sappiamo bene essere andata via da poco. La morte ha un odore, ma non è quello del sangue. L' odore del sangue è vita che esonda dalle vene, è vita al quadrato. È volontà di combattere, accettazione del rischio di farsi del male resistendo, perché chi si arrende o non parte per la guerra non lo butta il sangue, se lo tiene tutto in corpo, ignaro che seccherà e ugualmente andrà disperso, come un filo d' erba a mezzogiorno si piega e incenerisce nel campo. L' odore della morte è quello della terra bagnata. Lacrime, pioggia, saliva, urina e sperma la innaffiano, questa terra dove riposano i morti. Un surrogato della perdita in forma liquida, profeta di assenze totali ed eterne: dolore, freddo, rabbia, incontinenza, orgasmo, piccole riproduzioni in scala del morire vivendo. Brevi assaggi del nulla, prima dell' annientamento, che avviene con un rapido gesto di mano. Come quando siamo seccati da una mosca. O da una persona. E la mandiamo via. Succede così. Uno sventolare distratto e si spegne la fiamma. Fragile è il fuoco, nemmeno brucia se ci posi le dita. L' ardore giovanile, il miraggio, le passioni motrici della storia: un tremolìo debole di luce giallo arancio nella notte senza pause dell' universo in espansione.
venerdì 25 luglio 2014
Intervista Matisklo!
(Come se poi ci fosse qualcosa da dimenticare.)
E' la malinconia. Dello stato di grazia beota e incosciente in cui versavo pochi anni fa. Dove tutto pareva possibile, anche che i rabberci bastassero a coprire per una volta ancora il nostro letto.
Risvegli, strappi, fibre che d' improvviso diventano estranee a loro stesse, e appaiono come fili pendenti di marionette antiche. E qualcosa ancora li lega, dopotutto. Ma non lo sanno. Non lo sapranno mai. Perché non se lo diranno, e se si incroceranno, non si riconosceranno più: fragili hanno cercato di ricominciare, di incatenarsi a qualche altro cotone sottile, vanamente, perché quello che la vita adora dividere, l' abissale inconscio spasmodicamente continua a voler vedere unificato. E così, un altro strappo, fortissimo. Da un lato la freddezza dei giorni che corrono velocissimi a mettere distanza tra di noi, dall' altro il bruciore fastidioso e invalidante di una pira immortale, anelante vicinanza, ricongiungimento.
Ma siamo piccoli. Troppo piccoli e imperfetti. E questa è davvero l' unica nostalgia che ho. E che non riesco ad accettare, pur usando costantemente la ragione e seguendo pedissequamente le istruzioni per l' oblio.
(Come se poi ci fosse qualcosa da dimenticare.)